In coda per un motivo serio

Acquistare un iPad pò essere un atto normale, una scelta ponderata, un passo calibrato. Oppure può essere un istinto animale, un percorso interiore, un modo per partecipare ad un nodo che si interpreta come storico
Acquistare un iPad pò essere un atto normale, una scelta ponderata, un passo calibrato. Oppure può essere un istinto animale, un percorso interiore, un modo per partecipare ad un nodo che si interpreta come storico

Guardate queste immagini relative ad una delle tante code davanti agli Apple Store di tutto il mondo in occasione dell’esordio dell’iPad sul mercato internazionale (è questo soltanto uno dei moltissimi filmati sull’evento disponibili su YouTube):

Ed ora, senza click ma con un piccolo sforzo di memoria, si torni a scene simili ripescate dal passato. Si pensi ad esempio alla gente in fila per l’anteprima cinematografica di Titanic. Oppure alla coda per l’acquisto dell’ultimo “Harry Potter”. Oppure, anche se in misura per molti versi differente, alle recenti code per l’acquisto del biglietto della finale della Champions League. In ognuno di questi casi il fatto di mettersi in coda, aspettare e faticare è qualcosa totalmente a di fuori della logica, ma qualcosa che giunge come conseguenza di una pulsione, un istinto. Ma lo stare in coda è comunque un elemento comune e simile in tutti i casi.

Per certi versi sono queste occasioni in cui v’è un ribaltamento improvviso di fine e mezzo. Se la logica vorrebbe che il fine sia l’acquisto di un oggetto e la coda sia il mezzo per raggiungere il proprio fine, in questi casi è invece tutto ribaltato: l’acquisto dell’oggetto è un mezzo, ma il fine è offrire la propria presenza, esserci, partecipare. La magia di Steve Jobs ed Harry Potter, tutto sommato, è soprattutto in questo posizionamento del prodotto: non soltanto come un oggetto, ma come un soggetto catalizzatore attorno al quale la storia si arrotola e si ferma, si esalta e si contorce. Ci sono momenti in cui, in settori vari ed in circostanze diverse, le community si fanno improvvisamente vive e forti. E la legge del consumismo odierno vuole (farne una colpa sarebbe un atteggiamento oltremodo superficiale) che l’acquisto sia il biglietto di ingresso da scontare. “Avere” ed “essere” diventano una cosa sola: sminuendo forse il secondo, ma esaltando commercialmente il primo.

«E poi la gente, (perchè è la gente che fa la storia) quando si tratta di scegliere e di andare te la ritrovi tutta con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare». A modo nostro, nei nostri tempi in cui la scala dei problemi è fortunatamente cambiata, fare la storia significa esserci nei momenti in cui il mercato suggerisce un punto di svolta. Eccoli, allora, «quelli che hanno letto milioni di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare», tutti in coda per una tavoletta magica che sentono come cruciale. Lì cambia l’informatica, lì cambia la storia, e lì bisogna esserci.

Quando la persona si mette in coda sta assolvendo ad un bisogno interiore. Acquista un oggetto, e con esso tutta la simbologia che quest’ultimo riesce a scomodare. Ma lì in coda non c’è l’uomo in quanto individuo, ma piuttosto l’uomo come animale sociale. V’è un soggetto che cerca di acquistare uno spirito di appartenenza. Il valore iniziatico di quella coda è nella fatica di raggiungere l’oggetto magico e, come insegnava Propp, tutto ciò lo rende migliore, vincente e protagonista.

Mettersi in coda significa acquistare un senso di appartenenza, significa segnare la propria persona nel contesto di una nuova dinamica. Ma non è soltanto un tatuarsi la mela sul proprio curriculum da consumatore: esserci è più che altro un modo per poter dire “io c’ero”. Non è così per tutti, ovvio, lapalissiano: c’è chi lo apprezza per quel che sa fare, c’è chi lo stima per ciò che potrebbe permettere, c’è chi ne ha bisogno per compilare una recensione. Ma c’è anche chi, e sono molti, e sono quelli in fila, si presta al gioco perchè questo gioco consente un percorso personale e l’espressione di un valore sociale.

Ecco perchè le code non sono ovunque (anzi, l’iPad non sembra aver scatenato la medesima “follia collettiva” che a suo tempo generò l’iPhone): non ci si mette in coda per parlare con sé stessi. Ma dove l’assembramento davanti all’Apple Store si è fatto concreto, ecco che scatta la coda, arrivano le telecamere, si caricano i filmati su YouTube, esplodono gli applausi all’entrata ed il meccanismo prende piede con tutto quel che ne consegue. Essere in coda significa essere il primo, significa partecipare attivamente alla storia: tutti gli altri seguiranno, ma faranno soltanto numero.

Ad acquisto effettuato l’animale sociale alla ricerca dell’oggetto magico torna a casa sua come persona individuale. La fila entra nell’Apple Store, si disgrega e dopo la strisciata della carta di credito si è nuovamente persone uniche, ognuna per la propria strada, con in mano una scatoletta ancora da aprire e con la quale si passeranno le ore successive alla ricerca dell’abracadabra.

Verrà un giorno in cui queste scene verranno forse guardate con ironia (è questo il falso diritto di ogni generazione nei confronti delle generazioni precedenti), ma sarà un’ironia superficiale. Perchè chi è stato in coda, nella propria vita, ha spesso un fiero ricordo da portarsi nel cuore. Ed è il ricordo di chi, con le proprie azioni, sa di aver contribuito a scrivere una storia. Quando l’ironia scenderà sulle immagini del consumismo dei giorni nostri, generazioni intere presenteranno il conto. C’è chi alzerà un libro per aver partecipato ad una lettura collettiva, chi alzerà un biglietto per aver partecipato ad un pianto collettivo, chi alzerà una sciarpa per aver alzato una coppa, chi alzerà una tavoletta per aver acquistato per primo una applicazione. In un modo o nell’altro, con la ragione o con il torto, la storia siamo noi. Nessuno si senta escluso.

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