Ma il cloud non crea posti di lavoro

I grandi data center creano grandi risorse per il cloud computing, ma generano ben poco in termini di posti di lavoro. Cosa da non sottovalutare.
I grandi data center creano grandi risorse per il cloud computing, ma generano ben poco in termini di posti di lavoro. Cosa da non sottovalutare.

Il cloud computing non crea posti di lavoro. O quantomeno, il bilancio rispetto al passato è in negativo. Si tratta di una evoluzione che da sempre va in questa direzione: la tecnologia facilita i processi, migliora le performance e per fare ciò taglia fuori dai meccanismi il lato più debole ed oneroso della filiera: l’uomo.

Un esempio su tutti rischia di diventare l’esempio più eclatante per questo fenomeno: il nuovo data center Apple situato a Maiden, North Carolina, è costato qualcosa come 1 miliardo di dollari, occupa un terreno di oltre 900 mila metri quadri di superficie e tutto ciò pur occupando soltanto 50 dipendenti full-time in tutto (in aggiunta a circa 250 dipendenti a contratto che si occupano di sicurezza ed altre mansioni non strettamente inerenti la mission del dislocamento). 1 dipendente ogni 18 mila metri quadri: con una densità di questo tipo, è chiaro come tutte le risorse siano concentrate in tecnologia.

Si tratta di una scelta logica per il cloud computing, ma di una scelta che ha pesante impatto sulle zone ove tali investimenti gravano. La forza lavoro occupata è infatti estremamente bassa (soprattutto in loco), il che ha forti conseguenze anche sull’indotto (dalla ristorazione al valore degli immobili). Un data center come quello di Maiden è il lato meno noto del cloud computing: uno spostamento degli equilibri di produzione antecedenti, con gravi ripercussioni sull’occupazione e su tutto quel che circonda il sistema produttivo correlato.

Una conseguenza ovvia, necessaria ed inevitabile. Ma una conseguenza che legislatori ed amministratori locali dovranno in futuro tenere in stretta considerazione.

 

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