New York Times: il paywall è sempre più fragile

Il New York Times cela i propri contenuti dietro ad un paywall troppo fragile per essere vero: basta modificare l'url per accedere alle pagine.
Il New York Times cela i propri contenuti dietro ad un paywall troppo fragile per essere vero: basta modificare l'url per accedere alle pagine.

Il paywall del New York Times cade per l’ennesima volta. Si sbriciola in modo clamoroso, estremamente ingenuo. Troppo ingenuo. Ed è per questo motivo che tanta ingenuità appare ad oggi poco credibile, aprendo semmai ad altri orizzonti e ad una situazione in divenire da leggersi nel contesto di un grande editore che sta cercando poco alla volta di calibrare il proprio modello di business.

Aggirare il paywall è questione di due click: il primo è sull’url della pagina, per selezionare tutta la parte terminale successiva al “?” che divide l’indirizzo dai parametri aggiuntivi; il secondo click è sul pulsante “Canc” che porta alla rimozione dei parametri per consentire la semplice apertura della pagina con url “nudo”. Aprire gratis le pagine a pagamento, insomma, altro non richiede se non una semplice opera di pulizia sull’indirizzo, rimuovendo i lucchetti con estrema facilità per evitare ogni qualsivoglia forma di pagamento.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=N5R4CgDwFXQ[/youtube]

Trattasi peraltro di recidiva: poco dopo l’annuncio della versione a pagamento della versione online della testata, infatti, un semplice javascript già permetteva di aggirare il blocco e di accedere alle pagine con estrema facilità. La lotta contro tali espedienti è stata però più formale che concreta, evitando un inutile braccio di ferro e lasciando così i contenuti nascosti da un muro di clamorosa fragilità.

Appare difficile pensare ad incuria o incapacità per una testata di tale portata: molto più facilmente si può pensare invece a calcolo ed astuzia. Un muro pro-forma consente infatti di monetizzare una piccola parte di utenza, l’unica probabilmente disposta davvero a pagare per poter accedere ai contenuti; l’altra parte della community, quella più attenta ai media digitali e probabilmente meno disposta ad aprire il portafoglio per accedere ad una testata tradizionale, potrà comunque portare i propri numeri sul sito, consentendo all’editore irrinunciabili introiti pubblicitari.

Un muro fragile, insomma, costruito apposta per essere sfondato. Ma con il tempo la situazione è destinata a cambiare: il New York Times ha progetti ben più solidi ed a transizione avvenuta sarà più facile capire fino a che punto il paywall sia stato frutto di astuzia, strategia ed opportunismo.

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