SmartStart: caos all'italiana

L'apertura del bando per le startup del sud è iniziato come da copione: sito in tilt, procedure complesse. E già trend il #flopday.
L'apertura del bando per le startup del sud è iniziato come da copione: sito in tilt, procedure complesse. E già trend il #flopday.

Doveva essere la giornata di apertura di un bando di cui molto si è parlato, destinato alle imprese innovative del sud. Invece il 4 settembre, e anche il giorno successivo, è stato un flop per il bando SmartStart, gestito da Invitalia, l’agenzia del Ministero dello Sviluppo per l’attrazione degli investimenti (una volta nota come Sviluppo Italia). Nulla è andato come previsto e in Rete è scoppiata l’indignazione e anche un po’ di ironia.

Le giornate campali dei poveri startupper sono perfettamente raccolte sulla pagina Facebook di Smart Start: cronaca piuttosto tragicomica di come gli utenti – tutti startupper, giovani imprenditori – si sono sentiti come beta-tester invece che fruitori di un servizio. I ritardi del sito, la compilazione del form che ha avuto enormi problemi in fase di registrazione, ha provocato molta rabbia non soltanto per la perdita di tempo, ma anche perché il bando funziona a sportello: chi prima arriva meglio si posiziona nella valutazione del progetto d’impresa, dato che si procede fino all’esaurimento dei fondi. I fondi (190 milioni di euro) non sono pochi e pare siano in grado di coprire tutte le richieste arrivate, ma la tecnologia adoperata ha richiesto una serie di correzioni che sarebbe stato meglio prevedere.

L’inghippo tecnologico è stata la procedura con mail certificata, che si è rivelata incompatibile con molti client e ha bloccato il flusso di codici di verifica di chi si stava registrando, creando un intasamento record. In breve tempo il sito GoSmartStart è risultato inservibile. Le scuse non sono mancate da parte della società, prima spiegando che si sarebbe rispettato l’ordine delle registrazioni, poi assicurando gli utenti:

La valutazione sarà avviata secondo l’ordine cronologico di presentazione della domanda, ma le risorse finanziarie a disposizione saranno utilizzate per agevolare le sole iniziative che soddisfano i criteri di valutazione stabiliti. In ogni caso, al fine di assicurare parità di trattamento, sarà tenuto in debita considerazione il ritardo temporale tra il momento della registrazione e quello della effettiva ricezione dei codici di accesso rilevato dal sistema.

Un flop che la Rete non perdona

Facile immaginare le ironie di imprenditori e blogger, che hanno proposto le loro competenze per risolvere i gravi problemi tecnologici di chi, per lavoro, dovrà valutare le idee tech altrui. E il commento con più like è stato «presenteremo un progetto innovativo per rifare il portale per la presentazione delle domande».
Giancarlo Innocenzi Botti, ex Fininvest, già commissario nell’AgCom e sottosegretario alle Comunicazioni nel secondo governo Berlusconi, e il manager Domenico Arcuri, ex Deloitte, si giustificheranno? Al momento tutto tace. Il bando proseguirà senza altri scossoni? Difficile dirlo, ma sicuramente i primi vagiti di questo progetto per il rilancio del mezzogiorno in ottica startup sono stati un disastro. Altro che innovazione.

Fondi a pioggia: sono utili?

Se Invitalia avesse utilizzato una piattaforma costruita meglio – quella sotto accusa è stata realizzata da Poste Italiane – probabilmente non si sarebbero levate polemiche così aspre. Eppure, su questo bando ci sarebbe da dire comunque molto, in negativo. Nei corridoi del Ministero per lo Sviluppo gira molta irritazione, e non da ieri.

Il bando risponde a una logica molto diversa dalla policy finora mantenuta sulle startup: mentre il MISE e il MIUR lavoravano alle pre-condizioni per lo sviluppo delle imprese e al massimo aprivano a bandi con criteri premianti per davvero l’innovazione (ad esempio quello sulle Regioni di convergenza), l’agenzia Invitalia stabiliva un bando con dei non-criteri, troppo ampi per evitare l'”effetto pizzeria” (apro una qualunque attività, anche poco innovativa, e prendo i soldi) e troppo a pioggia. Nel bando rientrano società con forti capitali e idee appena abbozzate. Non è questo, secondo ormai tutti gli osservatori, il modo per sostenere l’impresa. Basta dare un’occhiata al Sirius Programme, l’omologo britannico, per capire come in Italia si insista ancora troppo in vecchie logiche assistenzialiste che non portano a nulla. Anzi, rischiano anche di suggerire tecniche già viste, con le quali si finge di aprire al sud e poi si scappa al nord o altrove coi fondi.

Per quale motivo, allora, un bando del genere? La politica c’entra qualcosa: Invitalia ha resistito alle pressioni e alle critiche su questi metodi perché le è permesso, basandosi anche sul fatto – incontestabile, di per sé – che si tratta di soldi del Fondo Sociale Europeo, non del Ministero, destinati alla aree depresse del continente. Insomma, ha vinto la vecchia pratica dei fondi a pioggia «per evitare di doverli restituire».

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