Stretta legale sullo streaming dal vivo in Cina

Le autorità cinesi pensano a stringenti norme legali per fermare il fenomeno dello streaming dal vivo, un trend che starebbe minacciando la moralità.
Le autorità cinesi pensano a stringenti norme legali per fermare il fenomeno dello streaming dal vivo, un trend che starebbe minacciando la moralità.

Si tratti di una diretta su Facebook, di un incontro con i propri fan tramite Periscope o di un evento live su YouTube, non si può dire che l’estate del 2016 non sia stata caratterizzata dai video in streaming dal vivo. Una tendenza che si è diffusa a macchia d’olio in tutto il mondo, grazie alla versatilità con cui lo smartphone possa tradursi in una finestra sulla propria vita, anche in quei luoghi dove i più grandi portali social occidentali non esistono o, comunque, rimangono fortemente limitati. È il caso della Cina, dove sono sorte negli ultimi mesi numerosissime piattaforme per lo streaming real time. E ora il governo centrale, data l’esplosione del fenomeno, sta pensando a una stretta legale su questa attività.

Vi sono all’incirca 80 piattaforme in Cina che permettono agli utenti, in particolare ai più giovani, di trasmettere immagini dal vivo. Una novità che non solo ha modificato le modalità di comunicazione locali, permettendo a chiunque di approfittare del seguito di una piccola audience, ma anche di incentivare qualche personaggio ormai di culto, webstar universalmente riconosciute nel paese. Sarà forse per la natura di questo mezzo, ma il People’s Daily riporta come la CAC, la Cyberspace Administration of China, voglia ora staccarne la spina, con delle norme legali particolarmente stringenti.

Con l’intento di “rafforzare la valutazione della sicurezza su nuovi prodotti come le trasmissioni dal vivo”, la CAC starebbe pensando a nuovi strumenti di monitoraggio da estendere sulle 24 ore, rispondendo così alle preoccupazioni emerse dal Ministero della Cultura la scorsa primavera. In Aprile, infatti, le autorità avevano espresso sconcerto per l’eventualità le piattaforme dal vivo potessero “danneggiare la moralità sociale”, anche ospitando contenuti formalmente vietati oppure tramite pornografia e altri spettacoli vagamente sexy. Un intento, questo, che qualche settimane fa avrebbe portato a una delle più famose webstar cinesi, Papi Jiang, a chiedere pubblicamente scusa e a promettere di “correggere se stessa” a seguito dei richiami governativi per il suo linguaggio apparentemente colorito.

Non è però tutto, poiché vi sarebbe un’altra questione che avrebbe sollevato dubbi da parte delle autorità, ovvero quella della monetizzazione dei filmati. A differenza dei classici live su Facebook e Twitter nel resto nel mondo, del tutto gratuiti sia per l’utente in onda che per gli spettatori, le piattaforme cinesi propongono delle ricompense a incentivi. Gli utenti, infatti, possono donare denaro sotto forma di “gift”, da dedicare alla webstar da loro preferita. Queste somme che vengono poi divise tra il destinatario e la piattaforma stessa secondo un modello di revenue sharing. Stando a quanto riporta BBC, personaggi online come quello di Xia Keke, una ventiduenne asiatica, riuscirebbero a guadagnare all’incirca 700.000 dollari l’anno da questa attività. Lo scorso maggio, sempre come spiega la testata britannica, le autorità cinesi hanno invece vietato mangiare banane davanti alla webcam, poiché “azione troppo seducente”.

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