TISA, l'accordo per il controllo Usa sui dati

Nell'ambito degli accordi commerciali EU-USA spunta la proposta americana per mantenere il monopolio dei dati e il vantaggio su servizi e infrastrutture.
Nell'ambito degli accordi commerciali EU-USA spunta la proposta americana per mantenere il monopolio dei dati e il vantaggio su servizi e infrastrutture.

https://www.webnews.it/speciale/ttip/La Associated WhistleBlowing Press ha pubblicato un documento datato aprile 2014 che rivela lo stato dei negoziati tra Usa ed Europa in merito alla liberalizzazione del mercato ICT. I negoziati sono particolarmente importanti per stabilire l’ecommerce, i servizi online, la conservazione dei dati, la net neutrality e molto altro della Rete del futuro, e la proposta americana sembra avere una sola preoccupazione: mantenere il centralismo del modello attuale.

La TISA (questo il suo nome) non è assimilabile alla SOPA, all’ACTA o a tutte le altre proposte shock del recente passato. Ha una natura più commerciale, ma sembra mantenere e ribadire lo storico approccio del governo americano, fatto di controllo dei dati e di manovre protezionistiche sul vantaggio competitivo a proposito del’infrastruttura di rete e dei servizi globali offerti dalle multinazionali a stelle e strisce. Nulla di sorprendente, ma anche molto impressionante se si considera che l’obiettivo generale degli accordi è liberalizzare ulteriormente il commercio al di fuori dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, cioè i grandi player fanno lobby per superare la crisi finanziaria e sperano in caso di successo – un aumento del volume di compravendite tra le due sponde – di trascinare tutti gli altri paesi nel nuovo sistema competitivo.

Basta elencare i paesi coinvolti per rendersi conto della portata di questi negoziati segreti: Stati Uniti, tutti i 28 Stati membri dell’Unione europea, e poi Australia, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Hong Kong, Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan, Panama, Paraguay, Perù, Corea del Sud, Svizzera, Taiwan e Turchia. Quasi il 70% di tutti gli scambi di servizi nel mondo.

Lo scambio dati

Uno degli aspetti più controversi di questo negoziato, come evidenzia l’analisi dei professori Jane Kelsey e Burcu Kilic, interpellati dall’associazione, è la forte pretesa americana di avere rassicurazioni che nessuno Stato partecipante possa fermare l’uso, lo stoccaggio e lo scambio di dati personali relativi alla loro base territoriale. In pratica, gli Usa vogliono che il mondo scriva nero su bianco che nonostante il Datagate nessuno possa pretendere di installare a livello locale i servizi di Google, Apple o altre aziende di questo tipo.


La questione è nota: la localizzazione dei server è al contempo l’uovo di Colombo per risolvere il problema del trattamento dei dati da parte della NSA, ma anche una pericolosissima frattura della uniformità della Rete nei confronti di paesi come la Russia, ad esempio, da sempre sponsor di queste soluzioni perché orientati a un enforcement della Rete che però metterebbe in pericolo la dissidenza politica interna (e non piace alle web company). Secondo l’analisi dei docenti che hanno potuto leggere il documento, se la proposta americana venisse accolta verrebbe mantenuto ancora per anni il rapporto sicurezza nazionale / interesse delle multinazionali che ha di fatto bloccato ogni riforma della Nsa.

Il commercio

Anche dal punto di vista commerciale si spera che i negoziati stiano andando verso soluzioni di compromesso rispetto alla proposta americana. Bisogna intendersi: da un lato non c’è dubbio alcuno che per sopravvivere l’economia occidentale debba aumentare il proprio ammontare tramite un abbattimento delle barriere, altrimenti Cina, India e Russia potrebbero spazzare via il WTO. Dall’altro, c’è il punto di vista di chi vede nel TTIP una cessione di sovranità politica ed economica a favore delle imprese mondiali, in grado in futuro persino di portare in tribunale interi Stati in caso ritengano di non poter entrare nel mercato secondo le loro regole.

Ad esempio, il modello centralizzato consente alle imprese straniere di ridurre al minimo la loro presenza legale locale e il sostegno del capitale. I consumatori, secondo i detrattori di questi accordi, affrontano già dei problemi quando acquistano prodotti attraverso le piattaforme, per l’assenza di adeguate protezioni giuridiche. I governi teoricamente possono invece rendere le regolamentazioni più efficaci quando vi è una presenza locale (fisica e di dati) dell’azienda.

La critica cita anche l’elusione fiscale e i LuxLeaks:

Un governo non è in grado di arginare la perdita di gettito fiscale da imposta sul reddito se non possono neppure chiedere ad Amazon e Google di avere una presenza locale, che è un requisito per la riscossione tali imposte in alcuni paesi. Un off-shore fornitore di servizi finanziari che dia consigli fraudolenti e non fosse soggetto a regolamentazione nazionale, avrebbe una tolleranza al rischio molto alta e il consumatore sarebbe molto debole.

Neutralità

Sulla open Internet la proposta è meno coraggiosa di quella di Barack Obama: apertura, ma anche libertà dei provider di gestire le corsie preferenziali, secondo un reasonable network management che a molti sembra suonare come un appoggio pieno alle idee della FCC e ai desiderata dei provider e delle piattaforme di streaming.

Saperne di più

Le implicazioni pratiche delle tante proposte americane sono naturalmente infinite e non sempre facili da prevedere. Anche per questo, finita la prima fase, è auspicabile ci sia maggiore trasparenza in questi negoziati, avendo a che fare con la vita economica e sociale di due miliardi di persone. Che si debba scoprire qualcosa solo attraverso una fuga di notizie è piuttosto sconcertante.

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