In Turchia ok alla legge che controlla Internet

Il Parlamento turco ha approvato la legge voluta da Erdogan dopo gli incidenti di piazza. Il governo stringe sulla Rete: dati e chiusura di siti.
Il Parlamento turco ha approvato la legge voluta da Erdogan dopo gli incidenti di piazza. Il governo stringe sulla Rete: dati e chiusura di siti.

Alla fine, dopo un lungo dibattito, il parlamento ha approvato la legge, voluta dal governo Erdogan, che consente di stringere il cappio attorno al web. Come? Il meccanismo è sempre quello, e somiglia nel principio a proposte avvalorate anche in Italia (per fortuna solo per la violazione di copyright, cioè per un reato vero): chiudere un sito senza prima passare da un procedimento giudiziario. Freedom house ha denunciato questo testo, che permette al governo di censurare «tutto ciò che non gli piace».

Licenza di chiudere. Così si potrebbe definire la legge turca che da ieri sposta completamente l’onere del controllo dei siti al Direttorato delle telecomunicazioni, un ente governativo che al contrario della magistratura concede al potere esecutivo un’accelerazione nei tempi e nelle modalità della chiusura dei siti e della segnalazione delle violazioni. Il motivo ufficiale non potrebbe suonare più falso: «Proteggere famiglie, bambini e giovani da contenuti su Internet che incoraggiano la dipendenza da droghe, gli abusi sessuali e il suicidio». Facilmente intuibile l’intento di Recep Tayyip Erdoğan, spaventato dagli incidenti dell’anno scorso e messo sotto pressione per gli scandali sulla corruzione dei funzionari pubblici con tanto di documentazioni rimbalzate sui social network: descrivendo talune azioni come istigazioni o diffamazioni si reprime l’informazione dannosa lasciando agli uploader e ai fornitori di servizi o hosting il problema del ricorso giudiziario in un secondo momento.

La Turchia è solo parzialmente libera

Come la stessa Freeedom House tiene a precisare nel suo comunicato sulla legge turca, il paese è da considerare solo parzialmente libero dal punto di vista dell’espressione e dei diritti dei cittadini. I suoi punteggi non sono rassicuranti: se sui diritti politici è se non altro nella metà superiore del rating, su quelli dei cittadini è ferma a 4 in una scala di 7, dove 1 è il punteggio massimo.


La situazione politica turca non si è più ripresa dopo gli incidenti per il piano edilizio al parco di Gezi. Inizialmente inquadrate come proteste di tipo ambientale, ben presto coagularono proteste più direttamente politiche che presero di mira Erdogan, il suo governo e il partito Giustizia e Sviluppo (AKP) al potere dal 2002. Per due settimane nel mese di giugno, decine di migliaia di manifestanti occuparono piazza Taksim, nel cuore di Istanbul, oltre 2 milioni di turchi parteciparono a proteste in tutte le città e la situazione di stallo si ruppe quando la polizia forzò i cancelli e cominciò a ripulire la piazza: come risultato cinque manifestanti sono stati uccisi, oltre 8.000 feriti e quasi 5.000 arrestati. In quelle stesse settimane, YouTube e Twitter subirono un blocco (non una novità in quel paese: già nel 2007 e poi nel 2010 ce ne furono) mentre Erdogan non mancò di descrivere i problemi del paese come il frutto di un complotto internazionale di cui anche queste società americane avrebbero fatto parte.

Per rispondere alle richieste di maggiore democrazia, il governo ha presentato un pacchetto di iniziative considerate positive, ma questa legge su Internet sembra andare in direzione contraria, tanto che molte associazioni chiedono al presidente Abdullah Gul di porre il veto sulla legge. Difficile però che questi argomenti facciano breccia, la Turchia è ormai avviata su un piano inclinato destinato a peggiorare il clima della libertà di espressione nel paese. Nell’ultimo anno, le richieste sopraggiunte a Google di chiusura dei siti sono aumentate del 1000%.

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