Il datore di lavoro e i suoi poteri disciplinari

È possibile, nell’ambito della carriera lavorativa, di incorrere in sanzioni disciplinari legate ad errati comportamenti. A decidere di applicare tali sanzioni è il datore di lavoro, secondo l’articolo 2106 del Codice Civile.

Oltre a tale regolamentazione, ferree sono le disposizioni introdotte dallo Statuto dei Lavoratori, che si è espresso con molta precisione su questa delicata tematica.

Alla base dell’applicazione di una sanzione disciplinare, le leggi vigenti pongono due requisiti fondamentali:

  1. sussistenza e imputabilità del fatto: il datore, con le dovute prove, accerta l’imputabilità del fatto. Qualora il lavoratore non sia dello stesso avviso, è comunque tenuto a dimostrarlo;
  2. proporzionalità tra infrazione e sanzione: anche in relazione all’articolo 2016 e soprattutto ai contratti collettivi, il datore non può applicare sanzioni differenti e più gravi di quelle indicate;

Le sanzioni, comunque, devono essere espresse all’interno di un preciso codice disciplinare, affisso e presente in azienda, le cui azioni sono le uniche previste dalla legge: richiamo verbale, ammonizione scritta, multa, sospensione e licenziamento “disciplinare”.

In aggiunta, sono tre i principi importanti per l’applicazione della pena: immediatezza, specificità, ovvero la ricostruzione esatta dei fatti, e l’immutabilità di questi ultimi successivamente.

Ultima parte dedicata all’impugnabilità della sanzione: considerando che il lavoratore ha la possibilità di contestare la pena, egli potrà farlo con un ricorso al Giudice del Lavoro, rivolgendosi ai collegi arbitrali o, infine, alle Direzioni provinciali del Lavoro.

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