Google, il diritto all'oblio è realtà

Google pubblica il modulo online con cui richiedere la rimozione di particolari contenuti dal motore. Ma avverte: va difesa la libertà di espressione.
Google pubblica il modulo online con cui richiedere la rimozione di particolari contenuti dal motore. Ma avverte: va difesa la libertà di espressione.

Google spiazza molti ed interviene con estrema tempestività in risposta alla sentenza della Corte di Giustizia Europea che costringe i motori di ricerca a rimuovere eventuali indirizzi che non ottemperano al cosiddetto “diritto all’oblio” delle persone. Chi si aspettava una mossa ostruzionistica è rimasto spiazzato: Google ribadisce sul Financial Times, a voce del CEO Larry Page, le proprie convinzioni in merito all’inopportunità delle scelte della Corte, ma al tempo stesso agisce in modo subitaneo per adeguarsi alle nuove direttive.

Diritto all’oblio: cosa succede

D’ora innanzi ogni persona avrà la possibilità di richiedere la rimozione di specifiche url dall’indice di Google, spiegando i motivi e assicurandosi che ci si trovi all’interno della casistica secondo cui i risultati della query composta siano «inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati». Questo è quel che farà Google in risposta alle richieste ricevute: verificherà la bontà della richiesta, l’identità del richiedente e l’opportunità della rimozione stessa. Sebbene le linee guida debbano ancora essere definite e molte procedure ancora formalizzate in vero e proprio protocollo d’azione, la direzione è chiara fin da subito poiché dettata dalla sentenza della Corte Europea:

Durante l’implementazione di questa decisione, valuteremo ogni singola richiesta e cercheremo di bilanciare i diritti sulla privacy della persona con il diritto di tutti di conoscere e distribuire le informazioni. Durante la valutazione della richiesta stabiliremo se i risultati includono informazioni obsolete sull’utente e se le informazioni sono di interesse pubblico, ad esempio se riguardano frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di funzionari statali.

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Diritto all’oblio: nasce un comitato di esperti

Spiega un portavoce Google: «Per ottemperare alla recente decisione della Corte Europea, abbiamo reso disponibile un modulo web attraverso cui gli Europei possono chiedere la rimozione di risultati dal nostro motore di ricerca. La sentenza della Corte richiede a Google di prendere decisioni difficili in merito al diritto di un individuo all’oblio e al diritto del pubblico di accedere all’informazione. Stiamo creando un comitato consultivo di esperti che analizzi attentamente questi temi. Inoltre, nell’implementare questa decisione coopereremo con i Garanti della Privacy e altre autorità». Il problema attuale è infatti soprattutto di principio: quali sono i paradigmi da seguire nel calibrare al meglio l’equilibrio tra diritto all’oblio e pubblico interesse? Quali dogmi occorre mettere nero su bianco per far sì che le rimozioni possano essere quanto più rapide, trasparenti ed efficienti?

Google metterà la questione nelle mani di un comitato composto in gran parte da elementi esterni al gruppo di Mountain View, estraniando così da sé la responsabilità delle difficili scelte da compiere di qui in avanti pur partecipando in prima fila al dibattito che ne scaturità. Del comitato fanno già parte Eric Schmidt, presidente Google, David Drummond, responsabile Google noto in Italia soprattutto per essere stato scagionato dopo le polemiche che accompagnarono la pubblicazione di uno sventurato filmato su Google Video, e Jimmy “Jimbo” Wales, fondatore di Wikipedia. Accademici e personalità istituzionali provenienti dai garanti per la protezione dei dati personali di tutta Europa saranno invitati a far parte del gruppo, dal quale proverranno le linee guida per la gestione di un passaggio tanto delicato e complesso, nonché cruciale per il futuro della rete e della libertà di espressione online. Questi alcuni dei componenti invitati a dar vita ai primi passi comitato:

  • Frank La Rue, responsabile per le Nazioni Unite per la Promozione e la Protezione del diritto alla libertà di espressione;
  • Peggy Valcke, Professore dell’Università di Leuven;
  • Jose Luis Piñar, Professore di Diritto Amministrativo presso l’Università di Madrid;
  • Luciano Floridi, italiano, Professore di Filosofia ed Etica dell’Informazione presso l’Università di Oxford.

Nel dichiarare la propria totale e completa collaborazione con le autorità europee, il CEO di Google Larry Page ha confidato la volontà di rendere più “europeo” l’approccio del proprio gruppo, preparandosi pertanto a spendere molto tempo in dibattiti e valutazioni. Perché questo sarà il passaggio cruciale di tutto quel che circonda il diritto all’oblio in Europa: il dibattito che ne scaturirà, la formulazione dei pesi e contrappesi necessari e l’identificazione del giusto mix di diritti e procedure che regolamenterà la questione.

Tale volontà trova però contraltare nell’impossibile astensione dalla nota polemica contro la decisione intrapresa, che secondo Google colpirà soprattutto l’Europa invece che il colosso di Mountain View. La freccia di Larry Page viene così scagliata direttamente al cuore di un’Europa sempre in bilico tra la millenaria ricchezza culturale del passato e l’incalzante ambizione innovatrice proiettata al futuro.

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Diritto all’oblio: un problema

Larry Page non si tira indietro: Google collaborerà con estrema buona volontà per ottemperare alle richieste provenienti dalla nuova interpretazione europea del diritto all’oblio, ma ci tiene a chiarire fin da subito come i problemi saranno anzitutto per start-up e piccoli gruppi. Google, infatti, ha risorse umane e finanziarie a sufficienza per poter assorbire i nuovi compiti ricevuti senza alcun impatto sulle attività in essere, mentre per un piccolo motore di ricerca nascente il problema sarà ben più gravoso e di difficile gestione.

Il problema è dunque anzitutto per l’innovazione e il suo incedere: il diritto all’oblio e la difficile gestione delle richieste dei singoli utenti possono rappresentare un ostacolo insormontabile per chi vorrebbe investire le poche risorse disponibili, alzando dunque una gravosa barriera all’ingresso e rallentando le velleità innovative del continente. Non dello stesso avviso era stata in precedenza Viviane Reding, invece, che dal suo punto di vista pretende per l’Europa “big right” a bilanciamento della crescita dei “big data”.

È stato chiaro fin da subito, però, come la discriminante tra una buona normativa e un gravoso passo indietro stia nel modo in cui sarà bilanciata l’applicazione di quanto previsto dalla Corte di Giustizia Europea: l’equilibrio tra l’utilità di una rimozione e la necessità di una pubblica disponibilità delle informazioni viene messo nelle mani di un comitato di “saggi” che dovrà tracciare la sottile e fondamentale linea rossa tra il bene e il male, tra il necessario e il non necessario, tra il dentro e il fuori.

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Tra oblio e diritto di espressione

Larry Page non nasconde inoltre un timore ulteriore. L’interpretazione che ha preso piede in Europa è bilanciata da una millenaria cultura e da forti contropesi garantisti, tali per cui si può ipotizzare un controllo non senza problemi, ma comunque sicuramente senza drammi, della situazione. Se medesimo approccio sarà invece abbracciato anche in altri paesi e in altre culture meno storicizzate e meno liberali, i guai potrebbero essere seri poiché tra diritto all’oblio e libertà di espressione potrebbe emergere una interpretazione restrittiva molto pericolosa.

Paesi con tendenze autoritarie potrebbero facilmente mettere le mani sul ranking del motore salvaguardando gli aspetti graditi e punendo il materiale non gradito, il tutto potendo comunque mascherare il proprio approccio dietro una facciata democratica ed “europeista”. E questo potrebbe probabilmente non piacere all’Europa, benché il principio sia il medesimo.

Aprire un diritto senza regolarne i confini, insomma, rischia di creare una situazione di caos: è questo un pericolo che era facilmente identificabile fin dall’inizio, fin da quando la Corte ha messo nero su bianco la propria decisione invertendo quella che era stata la situazione fino al giorno antecedente.

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Come chiedere la rimozione a Google

L’applicazione della sentenza della Corte Europea consta in un modulo online che chiunque può compilare per effettuare la propria richiesta di rimozione. Il modulo è disponibile in una forma temporanea, che il gruppo di Mountain View prevede di rivedere non appena avrà maggiori indicazioni dal comitato dei “saggi” e dalle autorità coinvolte:

Per presentare una richiesta di rimozione, compila il modulo sotto. Tieni presente che questo modulo è in fase di sviluppo. Nei prossimi mesi lavoreremo a stretto contatto con le autorità per la protezione dei dati e con altre autorità per il perfezionamento del nostro approccio.

Questi i dati che è necessario fornire all’atto della richiesta:

  • Nome anagrafico completo per il quale si richiede la rimozione dai risultati;
  • Nome del richiedente;
  • Rapporto tra il richiedente e l’oggetto della richiesta di rimozione;
  • Contatto email;
  • URL per il quale si richiede la rimozione;
  • Spiegazione dei motivi relativi alla richiesta di rimozione;
  • Documento di identità corredato di foto ed eventuale autorizzazione ricevuta dall’oggetto della richiesta di rimozione;
  • Autocertificazione sulla veridicità delle informazioni fornite;
  • Data;
  • Firma del richiedente

Precisa inoltre Google:

Una volta inviato il modulo, potremmo inoltrare la richiesta ed eventuali informazioni allegate all’autorità competente per la protezione dei dati, nonché informare i webmaster dei siti che verranno rimossi dai nostri risultati di ricerca a seguito del reclamo.

Al momento Google ancora non ha strutturato le risorse dedicate per l’analisi delle richieste in arrivo, ma il lavoro si preannuncia estremamente oneroso: dal giorno della sentenza della CURIA ad oggi, infatti, già migliaia di richieste di rimozione sarebbero arrivate a Google in varia forma, palesando fin da subito un cumulo di lavoro che richiederà risorse umane di alto profilo per valutazioni estremamente delicate. Non a caso è ancora Google a mettere le mani avanti sui tempi: in questa prima fase non è possibile garantire risposte immediate e rimozioni coatte, poiché occorre anzitutto formulare protocolli e funzioni dai quali prenderà il via il lavoro successivo:

Ci stiamo adoperando per portare a termine l’implementazione delle richieste di rimozione ai sensi della legislazione europea per la protezione dei dati personali nel più breve tempo possibile. Nel frattempo, la invitiamo a compilare il modulo che segue e la informeremo quando inizieremo a occuparci della richiesta. La ringraziamo per la pazienza che vorrà dimostrare.

Sulla base delle informazioni ricavate da Search Engine Land, il 40% delle richieste fin qui pervenute a Google provengono da cittadini tedeschi, il 14% dalla Spagna e il 13% dal Regno Unito. L’Italia è all’origine del 3% delle richieste fin qui inviate.

Impossibile capire ora cosa succederà a seguito delle contestazioni: Google notificherà ai richiedenti le relative decisioni, ma si appoggerà probabilmente ai singoli garanti nazionali per smaltire le richieste dall’esito meno ovvio o dal profilo più delicato. Tali procedure andranno probabilmente concordate a livello nazionale, ma troveranno pubblicità soltanto a bocce ferme.

Oggi il meccanismo prende piede, ma i tempi si preannunciano lunghi e il dibattito che ne scandirà l’incedere avrà un ruolo importantissimo nella ridefinizione del concetto di privacy (e dei diritti correlati) a livello continentale.

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