Google: scenario low cost del diritto all'oblio

Il materiale rimosso sarà molto, ma nessun affare per le società di consulenza. Lo spiega Fulvio Sarzana, che svela: dipende solo dai no di Google.
Il materiale rimosso sarà molto, ma nessun affare per le società di consulenza. Lo spiega Fulvio Sarzana, che svela: dipende solo dai no di Google.

I motori di ricerca Google del vecchio continente avranno, entro poco tempo, dei disclaimer accanto ai risultati delle query che diranno di contenuti rimossi secondo la legge europea del diritto all’oblio. Questo cambiamento avrà conseguenze difficili da immaginare, alcuni pensano anche a un business della segnalazione e pulizia dei link sgraditi, ma un avvocato in prima linea come Fulvio Sarzana sostiene il contrario: l’oblio, così com’è, non è un affare per nessuno.

Rinomato esperto di reati di pirateria digitale, fiero oppositore del regolamento Agcom ed editorialista del FattoQuotidiano oltre che titolare di un blog molto seguito, Sarzana non può che avere qualche cliente tra quelli incappati nella questione diritto all’oblio. E come tutti gli avvocati, non può parlarne per segreto professionale. Non è un segreto, invece, cosa pensi di questo passaggio storico, avendone parlato in quegli stessi giorni anche sui canali nazionali: il suo giudizio è sostanzialmente positivo.

Avvocato Sarzana, lei si è sempre detto favorevole al diritto all’oblio, ma è più cauto sulla validità degli strumenti messi in campo da Google: per quale ragione?

Mettiamola in questo modo: attualmente lo scenario è troppo povero di esiti e conseguenze per poter dare un giudizio completo. A mio parere la scelta di Google è stata “furba”, ma anche comprensibile. Costruendo quel tipo di modulo ha semplificato il procedimento e con il diclaimer dice comunque che alcuni contenuti sono stati rimossi. Senza che si sappia poi tanto di come analizza queste richieste.

Questo crea una maggiore curiosità…

Precisamente. Se una query produce un risultato che Google descrive come ripulito, qual è la probabile reazione dell’utente? Cercare quella informazione per scoprire di cosa si tratta, e non è difficile: basta cercare la stessa informazione sui motori Google che non hanno sede in Europa. Lo ha subito segnalato Evgeny Morozov, che pure è assolutamente a favore del controllo dei cittadini sui loro dati.

Con il disclaimer Google cerca di essere trasparente, e al contempo far capire cosa pensa della sentenza europea?

Direi proprio che è così, e come ho detto è comprensibile. Il tema del suo reale funzionamento e successo però dipende dai sì e dai no che dirà.

In che senso?

Si è parlato di un possibile business alimentato dal “right to be forgotten”, ma io credo sia un’ipotesi poco realistica. Google ha prodotto un modulo fai da te e ha assicurato, interpretando bene la sentenza, che i casi controversi verranno comunque sottoposti ai garanti dei rispettivi paesi. Quindi loro dicono: “Non stare a presentare ricorso, abbiamo già verificato noi”.

Insomma, super lavoro non per gli avvocati bensì per il Garante della privacy?

Può ben immaginare cosa significa potenzialmente per queste strutture, non si sa neppure quante richieste verranno accolte. Se Google dovesse mostrare di cancellare gran parte dei link, non ci sarebbe di fatto alcun business per nessuno. Se invece adottasse un filtro più severo allora in seconda battuta ci sarebbe il Garante. Per questo non credo al business delle società di web reputation. Anzi, ne ho sentita qualcuna lamentarsene.

Nella foto: Fulvio Sarzana. Avvocato, esperto di digitale e copyright, conduce la domenica pomeriggio su Radio radicale la trasmissione "PresiPerIlWeb".

Nella foto: Fulvio Sarzana. Avvocato, esperto di digitale e copyright, conduce la domenica pomeriggio su Radio radicale la trasmissione “PresiPerIlWeb”.

Ovviamente il procedimento anteriore alla sentenza era molto complicato ed era obbligato affidarsi a un professionista.

Non saprei neppure quantificarle quante richieste ho fatto di questo tipo. Generalmente si utilizzava la violazione di copyright come percorso più veloce, ma la persona non poteva riuscire da sola nell’intento. Ora con Google è molto più semplice.

Secondo lei quale metodo adotterà Big G per decidere della bontà o meno della richiesta di de-indicizzazione?

Questa è una buona domanda. Penso a un politico coinvolto in Tangentopoli, ormai uscito, passati vent’anni, magari anche scagionato. Potrebbe chiedere la cancellazione di quegli articoli e credo otterrebbe il suo scopo. In tanti l’otterranno, si disporranno diverse de-indicizzazioni.

E la rilevanza storica, la memoria, non contano?

Contano e Google l’ha spiegato più volte. La rilevanza dell’interesse pubblico dovrebbe essere un altro cardine, tuttavia una persona che può anche essere stata coinvolta in fatti storici ma ne è uscita non ha il diritto di non vedersi sempre collegata a quegli stessi eventi?

Bisognerà attendere del tempo per valutare gli effetti del diritto all’oblio: aspettando il report?

Google inserirà le richieste nel suo prossimo Transparency Report, quella sarà un’occasione preziosa per capire il fenomeno.

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