Caso Cucchi: Facebook gogna? Peggio i giornali

La condivisione di foto di militari coinvolti in denunce solleva le solite polemiche: ma che i siti giornalistici puntino il dito è ridicolo.
La condivisione di foto di militari coinvolti in denunce solleva le solite polemiche: ma che i siti giornalistici puntino il dito è ridicolo.

Vedere le facce di chi si è vantato al telefono di aver pestato suo fratello, forse di averlo ucciso. Coperti dai superiori, da un senso di impunità. Non solo vederle, ma pubblicarle su Facebook e commentarle. Questo è quello che ha fatto Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, la morte del quale è una pagina dolorosa dello Stato e della sua incapacità di identificare dei responsabili. Quando però le cose accadono sui social network sembra sempre si debba pagare una specie di tassa supplementare e la morale sparsa negli editoriali di commento è che la Rete è gogna. Vedete? Lasciate fare ai professionisti. Nulla di più ipocrita e falso.

Pochi giorni dopo la pubblicazione delle intercettazioni (e qui si aprirerebbe un intero capitolo sulla facilità con cui vengono rese pubbliche intercettazioni a disposizione degli inquirenti) che hanno portato a giudizio cinque carabinieri della stazione Appia accusati della Procura di Roma di aver portato alla morte Stefano Cucchi, sei anni fa durante il suo arresto, la sorella Ilaria ha pubblicato un post che forse non ha eguali nella storia della cronaca italiana. La donna ha ammesso di aver voluto cercare i volti delle persone coinvolte nell’inchiesta e tradite da intercettazioni molto gravi. Li ha trovati su Facebook.

Volevo farmi del male, volevo vedere le facce di coloro che si sono vantati di aver pestato mio fratello, coloro che si sono divertiti a farlo. Le facce di coloro che lo hanno ucciso. Ora questa foto è stata tolta dalla pagina. Si vergogna? Fa bene.

Poche ore dopo la pubblicazione del post, si sono accumulati una serie di insulti pesanti nei confronti della persona ritratta dalla foto, tanto che per tentare di sedare le reazioni verbali violente dei frequentatori del social network la Cucchi ha scritto un nuovo post nel quale ha raccomandato a tutti di non usare violenza e di aspettare la giustizia:

Non tollero la violenza, sotto qualunque forma. Ho pubblicato questa foto solo per far capire la fisicità e la mentalità di chi gli ha fatto del male, ma se volete bene a Stefano vi prego di non usare gli stessi toni che sono stati usati per lui. Noi crediamo nella giustizia e non rispondiamo alla violenza con la violenza. Grazie a tutti.

post cucchi fb

Il carabiniere messo alla berlina sul social ha annunciato che querelerà Ilaria Cucchi per diffamazione, accusandola di aver prodotto le ingiurie che gli sono «state rivolte a lui e ai suoi familiari a seguito e a causa della signora Cucchi». Allora a questo punto Ilaria Cucchi ha spiegato il suo gesto con un terzo intervento nel quale si chiede cosa sarebbe accaduto se si fosse trattato di una persona normale e non di un carabiniere. Facendo intendere che molti giornalisti che le imputavano questo comportamento non sembrano altrettanto giudiziosi quando si tratta di rubare immagini dai social per corredare varie gallerie dell’orrore di cronaca nera.

Non sono ipocrita. Questa foto non è uno scatto rubato in violazione della privacy del soggetto ritratto, ma è stata addirittura postata dallo stesso sui social network. Questa foto io non l’avrei mai pubblicata, l’ho fatto solo perché la ritengo e la vedo perfettamente coerente col contenuto dei dialoghi intercettati e con gli atteggiamenti tenuti fino ad oggi dai protagonisti. Per sei anni si è fatto il processo a Stefano e a noi membri della sua famiglia. (…) E quindi io credo che non mi debba sentire in imbarazzo se diventeranno pubblici anche i volti e le personalità di coloro che non solo hanno pestato Stefano ma pare se ne siamo addirittura vantati ed abbiamo addirittura detto di essersi divertiti. Di fronte al possibile imbarazzo che qualcuno possa provare pensando che persone come queste possano ancora indossare la prestigiosa divisa dell’arma dei carabinieri io rispondo che sono assolutamente d’accordo e condivido assolutamente questo imbarazzo. Ma non è un problema o una responsabilità di Stefano Cucchi o della sua famiglia.

Che pulpito

È fin troppo ovvio che Ilaria Cucchi ha ecceduto in quel primo post, visto che si tratta di una persona indagata e non ancora condannata e che una foto, per quanto un po’ imbarazzante (ma chi non ne ha sui social?) non significa nulla. Talmente ovvio che non è neppure un argomento di discussione, ne risponderà eventualmente in tribunale dove il giudice semplicemente verificherà la sussistenza di tutti gli elementi riconosciuti dalla cassazione per quanto riguarda la libertà di espressione, cioè verità, continenza e interesse pubblico.

Sugli ultimi due, i post della Cucchi sono ineccepibili. I testi non eccedono, non contengono odio e riguardano uno dei casi di cronaca più importanti e discussi degli ultimi anni. L’unica frase su chi «ha ucciso» il fratello è invece scorretta, sarebbe stato meglio scrivere accusato di aver ucciso mio fratello. Una frase detta con rabbia ampiamente giustificata, e considerando validità di due elementi su tre e l’attenuante della condizione psicologica di una persona che da sei anni sta lottando per sapere la verità, il carabiniere in questione potrebbe scoprire che sarebbe stato più produttivo concentrare le proprie energie solo sulla propria posizione, e Ilaria Cucchi cavarsela con una reprimenda che nulla pesa e significa rispetto a quanto ha dovuto patire sin qui.

No, questa storia non è una storia di diffamazione su Facebook, dove peraltro vigono le stesse identiche norme con l’applicazione del terzo comma del 595 codice penale. È piuttosto la storia delle lezioni morali che si sono lette sui giornali, gli stessi siti che in questi anni, anche negli ultimi tempi, hanno mostrato una spaventosa insensibilità rispetto all’uso delle immagini presenti sui social. Contraddizione che Arianna Ciccone (Valigia Blu e organizzatrice del festival internazionale del giornalismo a Perugia), ha subito notato:

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Il web come gogna è un ritornello ciclicamente in auge, utile a sostenere i peggiori progetti di legge per il suo controllo e nel caso delle redazioni dei giornali a difendere una rendita di posizione. Peccato però che praticamente non esista più nessuno tra gli utenti della rete disposto a dargli credito. E anche tra molti giornalisti e osservatori.

Conoscere i social, usare la testa

Questa vicenda aiuta a capire un’altra volta ancora quanto sia importante saper usare Facebook e conoscere le norme d’uso e gli standard della privacy. Possibile che ad oggi una persona adulta, un servitore dello Stato, renda pubblica una immagine dai contorni imbarazzanti senza sapere che questa immagine è in questo modo utilizzabile da chiunque e indicizzata sui motori di ricerca? Questo significa che si può utilizzare una immagine personale pubblica per abusarne, per insultare qualcuno, per farne lucro? Ovviamente no, ma legalmente il fatto che un post scateni una “gogna mediatica” è un argomento ulteriore e non collegato alla sua condivisione. Ciascuno risponderà per la propria condotta, non Ilaria Cucchi.

Ecco perché la storia di questi post di Ilaria Cucchi è l’emblema del web italiano, con tutti i peggiori vizi e le lacune che appesantiscono il dibattito: scarsa conoscenza del setting della privacy dei contenuti social; ipocrisia dei siti di informazione, subordinati alle logiche dei social eppure formalmente e debolmente antagonisti, spesso incapaci di gestire come si deve la propria community (come ha di recente raccontato Carola Frediani); reattività istintiva delle persone, che aggrediscono dei perfetti estranei senza pensare alle conseguenze delle loro azioni. Argomento tra l’hate speech e la libertà di espressione che sarà ripreso nella prossima trasmissione di PresiPerIlWeb.

In questo quadro, forse le parole più sensate sono ancora quelle di Ilaria Cucchi, che almeno ha una giustificazione più alta, come quella di Antigone: nobilmente e scandalosamente superiore alle leggi degli uomini che non danno sepoltura ai morti e offendono il cielo.

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