Change.org: il garante privacy avvia l'istruttoria

L'autorità avvia una istruttoria sulla piattaforma di petizioni: il Garante chiede delucidazioni alla società americana dopo una inchiesta giornalistica.
L'autorità avvia una istruttoria sulla piattaforma di petizioni: il Garante chiede delucidazioni alla società americana dopo una inchiesta giornalistica.

Il Garante della privacy ha aperto un’istruttoria su Change.org, la piattaforma internazionale di campagne online. La decisione arriva dopo una inchiesta giornalistica condotta dall’Espresso, e dovrà valutare come vengono trattati i dati delle persone che si iscrivono al sito. Le domande dell’authority vertono anche sul numero di utenti italiani, finora ignoto, ma che si suppone essere molto alto.

Change.org ha risposto rigettando ogni accusa

Il Garante della privacy aveva già effettuato un’analisi preliminare sul sito, anche alla luce delle notizie pubblicate sui media in merito alle specifiche modalità di trattamento dei dati personali, anche sensibili, degli utenti, che potrebbero essere usati per profilazione o ceduti a terzi. In particolare gli indirizzi mail. L’istruttoria chiede ufficialmente alla sede centrale americana, che ha sede nel Delaware (conosciuto anche come paradiso fiscale degli Stati Uniti), di fornire ogni elemento – anche di carattere tecnico – utile a valutare le misure adottate per tutelare la riservatezza degli utenti italiani.

In particolare, il gruppo statunitense dovrà chiarire le modalità di acquisizione e le specifiche finalità del trattamento dei dati di chi accede ai servizi offerti sul sito internet. Dovrà inoltre indicare se agli utenti viene resa un’informativa privacy “concretamente fruibile” (uno degli obblighi inderogabili delle leggi nazionali sulla privacy e della normativa europea che entrerà in vigore dal 2018) e se sono stati predisposti eventuali meccanismi per l’acquisizione del loro consenso all’uso dei dati personali, dice il comunicato ufficiale, «anche in considerazione della possibile natura sensibile delle informazioni raccolte e trattate, idonee a rivelare, ad esempio, le opinioni politiche, religiose o gli orientamenti sessuali dell’interessato».

Di questo, in effetti, si parla a lato dell’oggetto dell’inchiesta: la profilazione tramite la firma di petizioni non è soltanto un problema quando l’assenso è vincolato a un silenzio molto distratto, ma riguarda anche la possibilità di sfruttare quei dati in misura eccessiva – ma è tutto da stabilire, l’istruttoria serve a questo – per sapere fatti molto personali e potenzialmente discriminatori degli utenti del sito.

Oggetto di interesse del Garante anche il numero degli utenti italiani di Change.org, un altro dato sin qui mai rivelato, il luogo dove sono situate le banche dati, il tempo di conservazione dei dati, la possibile comunicazione a terzi, le misure di sicurezza e le tecniche di anonimizzazione eventualmente adottate.

Il punto di vista di Change.org

Noi del team italiano di Change.org ci svegliamo la mattina con un’idea in testa, ci addormentiamo la sera dopo aver preso ancora qualche appunto, rispondiamo alle telefonate nei weekend. Siamo professionisti con la stessa passione di volontari. Ci dedichiamo a una missione, quella di dare a tutti la possibilità di creare il cambiamento che vogliono vedere nel mondo.

Dietro al movimento di 6 milioni di comuni cittadini italiani che abbiamo contribuito a creare, che conta – solo in Italia e solo dal 2012 – oltre 600 petizioni che hanno raggiunto la vittoria, c’è il sudore di 5 appassionati professionisti della comunicazione e del cambiamento sociale. E nessun altro.

Con queste parole la country lead italiana, Elisa Liberatori Finocchiaro, risponde alle accuse ricevute dall’Espresso. E continua, puntualizzando:

Change.org non vende […] gli indirizzi email. Offrivamo – e non offriamo più – in modo trasparente, pubblico e legale un servizio di lead generation, che si rivolgeva in Italia esclusivamente ad enti non-profit, un servizio volto per l’appunto a mettere in connessione questi enti con i nostri utenti più impegnati. Peraltro il servizio era già stato dichiarato in chiusura, pubblicamente e in tutto il mondo, il 30 giugno scorso. Più di due settimane prima della pubblicazione del primo articolo da parte dell’Espresso. E sì, all’Espresso glielo abbiamo anche detto, ma non interessava…

Le petizioni sponsorizzate erano petizioni chiaramente riconoscibili perché disponibili soltanto nel flusso post firma, e mai nelle nostre scelte editoriali (mai nelle email che mandiamo agli utenti registrati o in homepage ad esempio). Le petizioni sponsorizzate erano disponibili in modo simile a banner pubblicitari soltanto successivamente alla firma di una qualsiasi petizione spontanea sul sito, e quelle che chiamo petizioni spontanee sono le uniche al centro dell’intera attività editoriale di tutto lo staff italiano. In parole povere vorrei dire che nessuno, per aver firmato una petizione su Change.org, ha poi ricevuto una email commerciale. C’è chi lo permette, noi non lo permettiamo.

Le accuse sono dunque rigettate in toto, rimandando così ogni chiarimento ulteriore all’inchiesta del Garante. Ed è un chiarimento sul passato che vuol essere anche manifesto per il futuro: «Chiarito questo, è stata nostra e solo nostra la decisione di orientarci verso un modello di sostentamento che sia ancora più in linea con la nostra missione, e dunque sospendere definitivamente le petizioni sponsorizzate. La petizione sponsorizzata era – ribadisco – assolutamente legale e trasparentemente illustrata sul nostro sito. La decisione di spegnere le campagne sponsorizzate è stata presa per permettere agli utenti di vivere su Change.org un’esperienza più positiva e ancor più in linea con la nostra missione di dare a tutti i cittadini il potere di cambiare le cose».

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