Boldrini querela tutti: il diritto e lo storto

La presidente della Camera annuncia di voler passare alle vie legali contro gli hater che la insultano: un diritto sancito, ma concretamente inapplicabile.
La presidente della Camera annuncia di voler passare alle vie legali contro gli hater che la insultano: un diritto sancito, ma concretamente inapplicabile.

Laura Boldrini dice basta agli hater e ai loro insulti. L’ecosfera dell’informazione invece ha appena cominciato. Il problema sollevato dal post dell’esponente politica, nel quale annuncia di voler passare alle vie legali contro coloro che quotidianamente la insultano in modo violentissimo, sta tutto qui: quando si tratta di una persona contro un’altra, la diffamazione è un processo tutto sommato semplice; quando però è one-to-many le regole cambiano. Anzi, di regole non ce ne sono più.

La decisione presa dalla presidente della Camera è all’apparenza semplice: procedere legalmente contro chi la insulta. Esattamente come farebbe chiunque di noi. Solo che lei non è chiunque, ma la terza carica dello Stato, che ha centinaia di migliaia di follower, mentre milioni sono coloro che la vedono nei telegiornali, leggono di lei, si fanno un’idea più o meno precisa della sua persona e reputazione. Insomma, in questa fase storica di fortissima delusione verso la classe dirigente, un obiettivo persino scontato della frustrazione popolare, in particolare tramite i social network. Laura Boldrini considera la misura colma e spiega di voler denunciare queste persone anche per dare un segnale alle altre vittime «per incoraggiare tutti coloro – specialmente le nostre ragazze e i nostri ragazzi – che subiscono insulti e aggressioni verbali a uscire dal silenzio e denunciare chi usa internet come strumento di prevaricazione». Per la presidente, sarebbe «ormai evidente che lasciar correre significhi autorizzare i vigliacchi a continuare con i loro metodi».

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Le leggi esistono

Primo punto, uno dei cavalli di battaglia di Stefano Rodotà: le leggi esistono, è possibile affidarsi per i reati compiuti online alle stesse garanzie esistenti per l’offline (considerando peraltro che questa distinzione ha sempre meno senso), specialmente per quei “reati di opinione” contro i quali, troppo spesso, la politica invece continua a invocare leggi speciali. È il tema sollevato, sempre su Facebook, da Antonio Pavolini, uno dei primi podcaster italiani, autore di

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Oltre il Rumore, che si chiede quanto tempo fosse ancora necessario per compiere un’azione concreta di questo genere:

Quanti convegni e dibattiti sono stati tenuti sullo stesso tema? Quanti politici hanno potuto associare a questa popolarissima e insipiente battaglia le loro facce? Quanti opinionisti hanno scritto articoli, corsivi, elzeviri, per ricordare alle persone che non esistono gli strumenti legali per proteggerci? Ci voleva così tanto tempo? Non siamo né nel far west, dove ognuno si fa giustizia da solo, né nel medioevo, quando la punizione era la gogna.

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Il riferimento di Pavolini è molto preciso e contiene una critica: è sensato aver messo alla berlina i propri hater, come fatto in passato, alimentando a sua volta altri flame? Tuttavia, questa è solo una parte del problema.

Un diritto non sempre applicabile

Per la diffamazione web la querela è la giusta soluzione? Se lo chiede Giovanni Battista Gallus, giurista esperto in materia informatica, coinvolgendo – anche lui su Facebook – tanti altri nomi comparsi spesso su Webnews (come Fulvio Sarzana, Giovanni Ziccardi, Francesco Paolo Micozzi), tutti autorevoli commentatori di questi fatti a metà tra il giuridico e il tecnologico. Secondo Gallus, che parla da professionista e per sua esperienza e studio, l’aumento esponenziale delle querele per diffamazione su Facebook rischia di «aggiungere frustrazione alla frustrazione».

Non solo: nei (pochi) casi nei quali si tratti di un fake, effettivamente non identificabile, l’assenza del requisito della doppia incriminazione rende inammissibile il ricorso alla rogatoria, con conseguente impossibilità di accedere ai log di Facebook. Certo, anche la persona offesa può attivarsi per l’acquisizione corretta della prova digitale (cosa che facciamo da anni), ma, comunque, l’ultima parola spetta alle procure. E allora, che senso ha celebrare un processo (in Tribunale, si tratta di 595, comma III del codice penale) a distanza magari di 4-5 anni, dall’esito per di più incerto?

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Inventarci qualcosa

Un vecchio motto preso da una poesia di Yeats sostiene che il politico deve pensare da saggio ed esprimersi con la lingua del popolo. Purtroppo la classe dirigente italiana sembra esprimere pensieri semplici dietro i quali sono semplici anche i ragionamenti, mentre gli specialisti parlano di aspetti complessi e di rado si traduce in una lingua comprensibile a tutti, col risultato che non si scardina mai questa separazione tra la retorica emotiva della politica e la competenza che le sarebbe necessaria per arrivare a soluzioni concrete e apprezzabili. Ecco perché in questo articolo si legge il post di Laura Boldrini e si invita a leggere anche i post di avvocati e giuristi che analizzano questa idea: perché “politica”, un tempo, era queste due cose assieme. Competenza della complessità, semplicità dell’espressione.

Ragionando in questo modo, si arriva a una conclusione: querelare tutti è un diritto ma ha anche uno storto, che nasce da un paio di problemi: le piattaforme non si possono coinvolgere a livello di responsabilità giuridica (per fortuna) e l’idea di farne tribunali è pessima; i tribunali veri sono già colmi di cause: per la diffamazione semplice sono 5 anni di processo che finisce in gran parte dei casi in niente. Perciò dobbiamo inventarci qualcosa. Da una discussione tra Sarzana e Bruno Saetta, emerge che sarebbe interessante dotare l’Autorità giudiziaria di poteri giusti (più che speciali), resistendo alla tentazione – vista ad esempio con l’Agcom – di delegare questo potere ad altre autorità, e naturalmente evitando come la peste di scaricare la responsabilità su intermediari di vario tipo o persino attribuire alle piattaforme il ruolo di “Tribunale della verità”, più volte reclamato dal fronte fake news.

La domanda è: cosa manca, cosa ci dobbiamo inventare perché si possa dar conto di un diritto e un pensiero semplice come quello della Boldrini senza lo storto della sua sostanziale inapplicabilità? Per molti, in queste ultime 24 ore, la notizia è che Laura Boldrini potrebbe querelare molte persone; quella vera, però, è che attualmente questo diritto, o meglio la sua soddisfazione, le è negato. Per alcune ragioni tecniche (one-to-many, regolamento EU su commercio elettronico, rogatorie internazionali su server in Usa), per ragioni legali (i tribunali colmi e senza strumenti), e anche per ragioni comunicative: la sensibilizzazione e la consapevolezza della natura ambivalente di Internet sono più importanti.

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