SL: un mondo virtuale per un business reale?

Su Second Life se ne sono dette tante, probabilmente troppe. Un fenomeno sovraesposto su cui i media hanno detto la loro, spesso senza conoscere le dinamiche inworld. Negli ultimi mesi, invece, la tempesta di opinioni sembra essersi quietata. Chi fa marketing direbbe che si è giunti alla fase del così detto “Trough of Disillusionment” di gartneriana, analisi in cui le aspettative “drogate” vengono deluse e i media allentano la copertura della notizia inflazionata.

Se così fosse, per SL sarebbe quasi giunto il giorno del giudizio, ovvero due possibilità di svolta, o il collasso o la premiata stabilità nel mercato. Il momento sembra topico, tanto da spendere ancora una parola sull’argomento.

Con 6 milioni di residenti che passano 6 milioni di ore inworld è più che naturale che le maggiori compagnie mondiali gli abbiano messo gli occhi addosso. Negli ultimi 12 mesi di vita della creatura della Linden i brand che hanno investito una parte del loro capitale per avere uno spazio di visibilità in una delle isole di SL sono a dir poco numerose. I nomi sono più o meno importanti: accanto al mega store Adidas troviamo anche Bagnetti o il rivenditore Mac di Roma, per fare alcuni esempi. Un’opportunità di business quindi aperta a tutto tondo visto i costi per ora ancora contenuti.

Gli ultimi dati parlano di un giro di transazioni da 7.000.000 di dollari (2 triliardi di $ Linden) con un grado di crescita del Prodotto Interno Lordo paragonabile a quello della Cina. Lo stipendio mensile per chi lavora nel mondo virtuale ha una retribuzione assolutamente reale che varia dai 500 ai 5000 dollari tanto che, la società olandese Randstad, multinazionale leader nel settore della ricerca delle risorse umane, ha aperto una filiale.

I numeri sembrano ricalcare un business reale come anche le rosee previsioni della rinomata Gartner&ScreenDigest che stimano un 80% di utenti attivi di Internet che da qui a tre anni avrà un avatar in un mondo virtuale di ambientazione realistica come Second Life.

Allo stesso tempo mi ronza in testa come una mosca dispettosa, il flop della net economy di 8 anni fa, quando Internet si ritrovò popolato da aziende con piccolo fatturato e dai gracili business plan. Per non ripetere un film già visto adesso bisognerà tenere bene a mente che ci si sta muovendo all’interno di un modello economico di tipo long tail in cui l’acronimo CRM deve guidarne le strategie. Il giro di boa è vicino: le aziende sapranno cogliere i codici e i linguaggi necessari per comunicare in questo nuovo mondo?

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