È il web dei dati, bellezza!

Come l'usabilità, anche la condivisione e la diffusione "aperta" dei dati delle istituzioni pubbliche dovrebbero costituire un obiettivo irrinunciabile per la pubblica amministrazione. La nuova democratizzazione passa, infatti, per i contenuti della PA
Come l'usabilità, anche la condivisione e la diffusione "aperta" dei dati delle istituzioni pubbliche dovrebbero costituire un obiettivo irrinunciabile per la pubblica amministrazione. La nuova democratizzazione passa, infatti, per i contenuti della PA

Quando si parla di siti web di enti governativi o pubbliche amministrazioni si è portati quasi naturalmente a pensare, rispetto al modo in cui dovrebbero essere realizzati e proposti all’utenza, a concetti come "accessibilità" o "usabilità". È sicuramente un retaggio delle sacrosante battaglie che in diversi paesi hanno portato nel corso degli ultimi anni all’adozione di testi legislativi (si pensi alla nostra Legge Stanca) volti ad eliminare anche sul web le barriere elettroniche che potrebbero impedire una fruizione universale e garantita a tutti di contenuti e servizi che per la loro stessa natura sono pubblici.

Che l’esito auspicato sia stato poi attuato su larga scala è da vedere, ma è indubbio che una cultura dell’accessibilità si sia fatta strada nei settori più sensibili e aperti delle amministrazioni pubbliche. Sul piano della democratizzazione dell’accesso, insomma, i passi in avanti compiuti sono rilevanti.

C’è da chiedersi a questo punto se, come avvenuto per il Web, transitato nell’immaginario comune alla sua fase 2.0, non possa aprirsi anche sul versante dei siti legati a servizi pubblici un ulteriore momento di democratizzazione che abbia al centro i contenuti, ovvero l’enorme quantità di dati statistici, demografici, economici (ma non solo) in possesso delle amministrazioni e degli enti ad esse collegati. Dalle nostre parti la recente vicenda delle dichiarazioni dei redditi online non aiuta forse a rendere popolare una prospettiva come questa, ma il modo confuso con cui è stata gestita non può impedirci di guardare oltre i pateracchi all’italiana.

Sintetizzando, si potrebbe dire che se con le iniziative in tema di accessibilità abbiamo costruito strade e ponti senza barriere, con questo ulteriore passo potremmo finalmente avere accesso ad una città in cui fare qualcosa e a servizi davvero utili.

Due studi pubblicati dal Social Science Research Center dell’Università di Princeton mettono l’accento proprio su questi aspetti.

Il primo, più recente e intitolato Government Data and the Invisible Hand, ha un taglio più generico, più legato al policy making che agli aspetti tecnologici del web design o del web development. L’abstract pubblicato sul sito e che fa da introduzione al rapporto (liberamente scaricabile) espone in maniera chiara i concetti chiave: «Piuttosto che affaticarsi, come fanno ora, con la realizzazione di siti che vadano incontro a livello di usabilità e accessibilità ai bisogni di ogni singolo utente, noi auspichiamo che gli enti governativi si concentrino sulla creazione di un’infrastruttura semplice, affidabile e pubblicamente accessibile che esponga i dati da essi gestiti&raquo.

In termini politici il tutto si traduce in una sola parola: trasparenza. In termini tecnici significherebbe trasformarsi in provider di dati grezzi, strutturati, riutilizzabili anche da terze parti (privati o enti no-profit) tramite un’infrastrttura basata su API (Application programming interface) simile a quelle messe in piedi da aziende come Google, Amazon o Yahoo (per citare i casi più noti e di successo).

È su questi aspetti che si concentra il secondo studio, intitolato Hack, Mash & Peer: Crowdsourcing Government Transparency.
Come si vede, la parola chiave trasparenza è qui accompagnata da termini di derivazione informatica come mash (mash-up) divenuti cosa comune con l’avvento del cosiddetto Web 2.0, che non è solo il Web delle persone ma anche quello dei dati, i dati su cui è possibile fondare nuovi servizi di utilità grazie alla combinazione, all’analisi, alla presentazione in forma strutturata e significativa.

Il problema è che senza dati non si va lontano. E le amministrazioni pubbliche i dati li hanno: dovrebbe essere loro compito prioritario fornirli in forme utili a chi voglia sfruttarli e renderli fruibili.

Ancora una volta la citazione dell’abstract del rapporto ci aiuta a comprendere meglio: «Oggi, la situazione ralativa all’offerta di informazioni e dati da parte degli enti governativi è in effetti triste. Alcune informazioni che sulla carta dovrebbero essere pubbliche non sono disponibili online e i dati, quando sono online, sono offerti in formati del tutto inutili. I governi dovrebbero essere incoraggiati a rendere pubbliche le informazioni e a distribuirle online in un modo aperto, strutturato e facilmente ricercabile. Fino al momento in cui il settore pubblico non si modernizzerà, dovremmo sperare che terze parti nel settore privato realizzino banche dati non ufficiali e le rendano fruibili al pubblico in una forma utile».

Lo studio nelle 42 pagine di cui si compone si sofferma su tecnologie come RSS, XML, database, ma il punto chiave è un altro: il meccanismo virtuoso che si può innescare lungo la linea pubblico/privato. Una volta creata l’infrastruttura tecnologica e curata la diffusione di dati in formati riutilizzabili, il settore pubblico potrebbe lasciare ai privati il compito di intervenire su di essi per proporli all’utenza internet con servizi ad hoc, essendo certi, tra l’altro, che spesso i privati sono in grado di fare le cose in modo migliore e più efficace. Si pensi solo a quello che in Italia ha fatto Radio Radicale rispetto al servizio pubblico con la diffusione delle sedute parlamentari e dell’informazione politica in genere.

E rimanendo sulla rete, in un vecchio approfondimento di Webnews, accennavamo all’esperienza di TheyWorkForYou.com, il sito inglese con cui è possibile seguire tutto quanto accade nella Camera dei Comuni in un modo enormemente più semplice ed efficace rispetto alla fonte ufficiale, lo Hansard’s House of Commons Debates. Lo stesso si può dire, spostandoci negli USA, di GovTrack rispetto a THOMAS, il servizio gestito dalla Library of Congress.

Il campo di applicazione di politiche tecnologiche di questo stampo, come si intuisce, è comunque enorme. Per citare un solo esempio (e spostandoci dalle ovattate atmosfere delle aule parlamentari al caos delle nostre città), Google ha da tempo introdotto nel suo servizio di mappe la possibilità di crearsi itinerari di viaggio urbani usando i mezzi pubblici. Per farlo è necessario che le aziende pubbliche dei trasporti formattino i dati relativi ad orari e percorsi in un formato XML definito dalla stessa Google e di cui sono disponibili le specifiche. Nella lista delle città per cui è possibile sfruttare il servizio ci sono anche Torino, Firenze e Genova con le loro rispettive agenzie di trasporto pubblico (ecco un esempio per Firenze).

E il bello non finisce qui. Perché essendo i dati di Google Maps disponibili a tutti tramite apposite API, nulla impedisce ad uno sviluppatore di creare servizi derivati. È il web dei dati, bellezza!

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