Cassazione: Facebook non è stampa se si diffama

La Cassazione ribadisce la distinzione tra Facebook e stampa in un caso di diffamazione, restando la sua aggravante: ma una legge potrebbe cambiare tutto.
La Cassazione ribadisce la distinzione tra Facebook e stampa in un caso di diffamazione, restando la sua aggravante: ma una legge potrebbe cambiare tutto.

Una sentenza della Cassazione, la 4873/2017, ha stabilito, anzi meglio dire, confermato, quanto si sa da alcuni anni rispetto al delicato tema della diffamazione e dei social network: quando si diffama qualcuno con questo mezzo si è sottoposti al codice penale e non alla legge sulla stampa. Il fatto che un social abbia potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone comporta un’aggravante, ma non equiparata alla stampa: resta nella sua particolare tipologia di “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”. Questo principio tuttavia è sempre a rischio considerando le tentazioni di equiparazione nella riforma della legge sulla stampa che gira da anni in Parlamento.

Le agenzie hanno parlato di “attenuante” in caso di diffamazione tramite una bacheca Facebook, ma è un titolo completamente fuorviante. Nella sentenza (pdf) si spiega, a proposito di un provvedimento di un Gup a cui ha fatto ricorso un procuratore, che la diffamazione a mezzo Facebook è comunque una diffamazione aggravata, ma non in base all’art. 13 della Legge Stampa quanto, piuttosto, al terzo comma dell’art. 595 del codice penale. Al di là del linguaggio legalese, significa che non è prevista la pena fino a 6 anni di reclusione, e soprattutto si conferma un principio che finora, tra molte tempeste, è rimasto fermo: il concetto di “stampa” non può applicarsi al web, e se un giudice provasse ad estenderlo incapperebbe in una estensione della portata applicativa della norma, fatto vietato in malam partem, cioè non si può interpretare una norma a sfavore di un imputato ma sempre a favore. L’esclusione della legge del 1948 sulla stampa porta la pena massima a tre anni.

Ecco perché non c’è nessuna attenuazione: una diffamazione via Facebook (ma anche mediante altre forme di comunicazione online destinata a più persone) è sempre diffamazione aggravata (per ovvie ragioni essendo un social network dalla platea non paragonabile a un insulto scritto su un volantino o detto al bar) posto che Facebook è uno dei possibili “altri mezzi di pubblicità”. E non va certo preso alla leggera. Come dimostrano anche casi di cronaca recenti in merito ad altri reati legali all’espressione di un pensiero sui mezzi telematici. Lo dice molto bene la sentenza, dove, pur comprendendo la tendenza a una “interpretazione evolutiva” del concetto di stampa e dei suoi schemi di obblighi e garanzie, mantiene salda la distinzione:

L’esito di tale operazione ermeneutica (cioè l’estensione del concetto di “stampa”, nda) non può riguardare tutti in blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook), ma deve rimanere circoscritto a quei soli casi che, per i profili, strutturale e finalistico, che li connotano, sono riconducibili nel concetto di “stampa” inteso in senso più ampio. Il più autorevole Consesso ha, quindi, spiegato che «Deve tenersi ben distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on line, dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo», ed ha concluso, quindi, con il precisare che: «Anche il social-network più diffuso, denominato Facebook, non è inquadrabile nel concetto di stampa.»

E se il legislatore…

Cosa accadrebbe, invece, se in Parlamento si estendesse al web il concetto di stampa, facendo saltare quella distinzione citata dal giudice? Si avrebbe quel tipo di interpretazione che da anni Webnews denuncia come Rumore dei nemici, cioè una cultura colpevolista nei confronti della Rete che dai tempi dei blog fino alle bufale dei giorni nostri alimenta proposte di legge molto discutibili soprattutto se viste con la lente della libertà di espressione. E così si avrebbe l’applicazione di pene e aggravanti del tutto identiche alla stampa, anche se la natura degli oggetti del web è diversa. Ecco perché bisognerà ancora una volta seguire con attenzione emendamenti e discussione alla legge di riforma firmata a suo tempo dall’on. Enrico Costa, che ancora nel 2013 da deputato ha ripreso alcune parti del famigerato comma ammazzablog nel testo sulle intercettazioni arenatosi nel 2011.
La sensibilità nei confronti del web è molto fluttuante, spesso legata ai casi di cronaca, ma la guerra ideologica non è mai stata dichiarata conclusa.

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