Caos tassisti: nuovo decreto sugli Ncc

Il ministro dei Trasporti trova un accordo con 21 sigle dei tassisti per scongiurare altre proteste e violenze: entro un mese un decreto restaurativo.
Il ministro dei Trasporti trova un accordo con 21 sigle dei tassisti per scongiurare altre proteste e violenze: entro un mese un decreto restaurativo.

Alla fine, come sempre da molti anni a questa parte, hanno vinto i tassisti. E anche se si tratta di una opposizione superficiale e parziale, ha perso Uber. Più correttamente va spiegato tuttavia che lo scontro è tra due categorie, tassisti e Ncc, di cui Uber è solo un player come altri. Dopo aver messo a ferro e fuoco la capitale, i tassisti hanno incassato un accordo – che dovrà essere accettato dai lavoratori – che di fatto restaura le condizioni precedenti al Milleproroghe, che nel frattempo verrà approvato alla Camera.

Nel documento annunciato ieri sera alle 21.30 a conclusione dell’incontro del ministro Graziano Delrio con le delegazioni delle sigle di rappresentanza dei tassisti, si conferma la parte della legge 21/92, che regolamenta (male) il trasporto privato di servizio pubblico, dove si integra un regolamento sul Ncc in modo restrittivo. Quindi i noleggi con conducente non possono sostare dentro le piazze delle città, devono tornare in rimessa dopo ogni singola chiamata, e si può richiedere l’intervento della polizia municipale in caso si noti un driver non rispettare questa regola. In pratica, come è stato sino ad oggi, anche se questo non ha impedito tensioni tra la categoria dei tassisti e l’applicazione globale.

Le parti convengono su due impegni del prossimo tavolo di lavoro (chiesto da tempo dalla categoria), come recita il verbale dell’incontro:

Uno schema di decreto interministeriale di cui all’articolo 2 DL 40/2010 per misure “tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio taxi e del servizio noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia”

Uno schema di decreto legislativo delegato di riordino della legge quadro 21/92 ripartendo dal testo proposto dal governo.

Le parti (tra le sigle principali si annoverano Unica Taxi Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl Taxi, Federtaxi-Cisal, Fast Taxi Italia, Usb Taxi, Unimpresa, Satam, Tam-Acai, Uri Taxi, Uri, Legacoop, Claai, Confartigianato Trasporti, Casartigiani, Cna Fita, Confcommercio, Confcooperative, Mit Movimento Italiano Tassisti) condividono l’appello del governo a concludere la protesta immediatamente e a riprendere la regolarità del servizio.

In soldoni, il governo si impegna prima a congelare gli effetti del Milleproroghe entro trenta giorni, poi torna a parlare della legge-quadro dei trasporti, che gira da anni nell’agenda politica italiana. Un dossier che da sette anni i governi si passano come una patata bollente. I punti principali confermati dal ministero dei trasporti sono il miglioramento del sistema di programmazione e organizzazione su base territoriale, regolazione e salvaguardia del servizio pubblico, necessità di migliorare i servizi ai cittadini considerando l’evoluzione tecnologica del settore, lotta all’abusivismo, migliore incontro tra domanda e offerta.

La storia infinita della legge 21

La legge 21/1992 che disciplina il “trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea” in realtà non è più una legge, ma un vuoto. Bruxelles nel 2009 (molto tempo prima che arrivasse Uber, quindi) ha minacciato una infrazione per i limiti agli Ncc e molti altri problemi, e l’Italia promise che ci avrebbe messo mano. Lo fece con un decreto-legge nel 2010 – citato anche dal ministro – che avrebbe dovuto assicurare all’epoca, in 60 giorni, “omogeneità di applicazione di tale disciplina in ambito nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico”.

Quell’impegno è stato via via rimandato ogni volta con ulteriori decreti, l’ultimo dei quali ha spostato il termine al 31 dicembre 2016, dopo il quale è intervenuto l’ennesimo decreto di proroga, quello di cui si discute in questi giorni e ha scatenato le proteste dei tassisti. Lo scorso anno in marzo, infatti, il governo Renzi cedette alle minacce di sciopero dei tassisti e ritirò gli emendamenti al disegno di legge sulla Concorrenza. Il contenuto era identico a quello che invece, un po’ sotto silenzio, è passato con l’intervento della Lanzillotta al Senato in un altro testo e che in pratica sospende il blocco agli Ncc, che fino ad oggi non potevano girare per la città ma tornare dopo ogni chiamata alla propria autorimessa.

Il concetto di concorrenza nel mondo del trasporto non di linea è piuttosto singolare: a Roma ci sono mille Ncc e 15 mila tassisti, fanno tariffe, hanno clienti e comportano costi e servizi totalmente diversi. Non ha neanche molto senso definirli concorrenti. Chi prende un taxi al volo non pensa a un Ncc, chi pensa a un Ncc non vuole un taxi. Eppure, i governi che si sono succeduti in questi 5 anni hanno sempre e soltanto rimandato con decreti l’impegno preso con l’Europa a metter mano alla legge sui trasporti in senso di maggiore concorrenza. E sì che non sono mancate le posizioni delle autorità. L’antitrust nel 2014, nell’ambito dell’annuale segnalazione a Parlamento e governo, scrisse un comunicato propedeutico alla redazione della legge sulla Concorrenza. L’anno successivo, nel maggio 2015, l’autorità regolatrice dei trasporti parlò della necessità di eliminare le distorsioni competitive. E fece di più: immaginò una categoria più grande, la STM (Servizi Tecnologici per la Mobilità) per individuare meglio le piattaforme di intermediazione, una realtà con la quale ormai si deve fare i conti.

Niente da fare, e l’ultimo episodio lo dimostra: non c’è il coraggio politico di affrontare la questione di petto. In che modo? Prima di tutto convincendosi che non vanno confusi il tema della globalizzazione e delle multinazionali con quello della concorrenza: un mercato regolato in senso concorrenziale è un bene per tutti, non è un lasciapassare agli effetti più dirompenti dei colossi della Silicon Valley o di qualunque altra realtà multinazionale, che al contrario si infilano nei vuoti legislativi senza che nessuno possa garantire consumatori e lavoratori. Inoltre, va dato seguito a quanto raccomandato dall’Unione Europea già da anni. In attesa, per quanto riguarda i driver non professionali, del parere che tra poche settimane la stessa Corte Europea fornirà a proposito di Uber.

E la domanda è: se Bruxelles desse il via libera, che accadrebbe nelle nostre città?

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