Tassisti, Ncc, Uber: lo stato è questo

La bozza di decreto Mit-Mise sembra non piacere a nessuno: tassisti, Ncc, Uber, altre app, sono troppo distanti, tra conservazione e interesse.
La bozza di decreto Mit-Mise sembra non piacere a nessuno: tassisti, Ncc, Uber, altre app, sono troppo distanti, tra conservazione e interesse.

La bozza di decreto che il Ministero dei trasporti ha presentato alle parti in questi giorni non soddisfa praticamente nessuno. Né i tassisti, né i noleggiatori, non le cooperative, né Uber. Lo si capisce dallo sciopero confermato oggi, ma il tavolo dei lavori è indipendente dalla cronaca: la vera questione è che non c’è alcun punto di riforma sul quale sia possibile trovare un terreno comune.

Il tavolo tecnico-politico messo in piedi al MIT subito dopo la promessa del ministro Graziano Del Rio di mettere una pezza all’approvazione del Milleproroghe ha audito tutte le sigle sindacali dei tassisti, i noleggiatori, anche le aziende, come Uber o MyTaxi, cercando un possibile compromesso. Da quel che si è capito, le posizioni restano distanti sui principali temi che dividono il settore che, per quanto riguarda la sua riforma – non spettando al solo intervento del MIT – si collega all’attesa approvazione della legge “Concorrenza” in cui è inserita la delega. Sia Trasporti che Sviluppo Economico stanno lavorando alle proposte per il decreto legislativo, che potranno essere sottoposte al settore una volta definita la delega. Intanto, le sigle sindacali presenteranno ulteriori osservazioni entro dieci giorni.

In soldoni, tuttavia, le famose nuove regole transitorie “tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio taxi e del servizio noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia” non soddisfano gli attori di questa battaglia che si protrae da anni (otto, per la precisione). Il sottosegretario Riccardo Nencini, che ha partecipato all’incontro di ieri, è convinto invece che andrebbero riconosciuti i passi avanti:

Chi volesse mantenere lo stato esistente o chi volesse mettere fuori gioco le innovazioni tecnologiche non troverebbe orecchie attente. Altra cosa è regolamentare le piattaforme informatiche – registrazione in apposito registro, pagamento delle tasse in Italia ed altro ancora – per consegnare ai cittadini il servizio migliore al costo più equo nella maggiore sicurezza possibile.

Sono cinque i punti sui quali il decreto MIT-MISE sperava di trovare un’accoglienza meno fredda: riguardano il contrasto all’abusivismo, il ruolo delle Regioni, l’idea del noleggiatore che va in rimessa quando non ha una prenotazione in corso, l’apertura all’uso collettivo dei taxi, e infine il registro delle app.

Cosa impedisce l’accordo

Lasciando sullo sfondo il problema più generale dell’atteggiamento antiquato dei sindacati dei tassisti rispetto alla mobilità sostenibile, e d’altro canto l’atteggiamento piuttosto piratesco di Uber, che ha lavorato molto aggressivamente in una situazione di vuoto legislativo senza particolare cura degli effetti economici e sociali sull’habitat, emerge la questione vera dietro l’imbarazzo della politica rispetto ai tassisti, che la spinge a trattare con loro in condizioni subordinate e arrendevoli: la questione delle licenze e dell’abusivismo depenalizzato.

Quando nell’articolo 2 della bozza del decreto si propone di lasciare alle Regioni “la pianificazione dei servizi pubblici non di linea, tenendo conto delle reali esigenze del fabbisogno locale, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, delle licenze, al fine di evitare fenomeni distorsivi della concorrenza” si tocca il punto nevralgico. Cioè la situazione creatasi per cui i comuni meno popolati, magari limitrofi ai capoluoghi, aprono delle licenze per gli Ncc, i quali però non rispettando il vincolo di territorialità si trasferiscono subito nelle uniche città in cui c’è mercato. Le città più piccole si ritrovano senza un servizio, aprono di nuovo licenze, che vengono acquisite – magari da autisti Uber, ma non solo – e si ricomincia. In questo modo a Milano ci sono ufficialmente 217 Ncc, ma ci lavorano in tremila. Nessuno sa come comportarsi, neppure gli enti locali: se un driver che ha una licenza acquisita a Frosinone per (a titolo di esempio) diecimila euro, va in servizio a Roma, dove le licenze valgono dieci volte di più, opera secondo le regole di Frosinone oppure di Roma? E a chi deve rispondere? Quando un Ncc opera ai confini di territori e regioni (ad esempio gli Ncc che lavorano per il turismo sul Garda), quale ente dovrebbe occuparsi di loro? E secondo quali criteri distributivi? La legge delega deve occuparsene il prima possibile.

Uber

La posizione dei tassisti è fin troppo chiara: Ncc in rimessa, vincolo di territorialità, nessuna concessione alla mobilità non-professionale. Peraltro, il modello Uber Pop è stato giudicato ancora una volta, dal tribunale di Torino, come sleale. Con l’attuale legge, risalente al 1992, quel tipo di servizio, pure considerato interessante dall’antitrust, è impossibile. Inoltre Uber è una multinazionale che non crea gettito fiscale, puramente remunerativa.

Carlo Tursi, manager di Uber per l’Italia, ha cercato nei giorni scorsi di difendere la posizione dell’azienda, arrivando anche a proporre una forma di compensazione per il crollo del valore delle licenze – altro nodo gordiano del settore: dopo la legge Bersani, i comuni possono concedere licenze gratuitamente oppure venderle; in questo modo però si è di fatto legittimato un mercato colossale sul quale lo Stato impone una tassa. Uscendo dal ministero due giorni fa, Tursi ha confermato ai giornalisti la sua posizione: in questo momento c’è un’occasione di riforma del settore, ormai obsoleto, che deve andare verso un servizio accessibile, non soltanto per chi vive nei centri delle grandi città, ma a tutti grazie alle tecnologie. Questa flessibilità va definita con regole chiare per gli intermediari e forme compensative verso «la transizione all’uso di auto più condivise». Tuttavia, quando i tassisti hanno rifiutato l’invito di Uber a un incontro a porte chiuse, e poi vista la bozza, la reazione di Tursi è un po’ scoraggiata:

Questa proposta di decreto è molto deludente perché non guarda al futuro ma limita ulteriormente il mercato confondendo le regole e riuscendo a non accontentare alcuna delle parti coinvolte.

MyTaxi

C’è una posizione ulteriore in questa discussione infinita, quella di MyTaxi, che rappresenta una interessante via di mezzo tra l’innovazione privata della mobilità di servizio non di linea e la conservazione del ruolo pubblico del servizio taxi. Barbara Covili, general manager per l’Italia dell’app di origine tedesca (di proprietà di Daimler) ha partecipato al tavolo al ministero, nello stesso giorno di Uber. Nel suo caso, la posizione è nettamente pro tassisti per quanto riguarda la protezione delle famiglie e delle loro economie:

Noi siamo riusciti a fare business in Italia senza stravolgere il mercato, senza chiedere di cambiare la legge. Si può innovare anche nel pieno rispetto delle regole e si può crescere e investire in un settore, pagando le tasse e assumendo personale in Italia.

Questo però non significa che sempre da questo settore non vengano resistenze contro ogni effetto disruptive delle piattaforme, per loro natura disintermedianti. Ad esempio, negli incontri al ministero emerge il fastidio delle sigle legate alle cooperative per il rapporto diretto autista-cliente, e si difende il vincolo che impone un unico operatore. In questo modo, ovviamente, MyTaxi non può essere installata da un tassista che volesse lavorare con più gestori. «Una follia», racconta, «che non ha ragioni di essere».

Scontri e interessi, in sintesi

Per capire come sia difficile per il ministero dei trasporti e per il parlamento mettere assieme tanti elementi discordanti, basta elencare player e rispettivi “avversari”.

Tassisti (individuali)
Interessi: essere gli unici in servizio non di linea, chiudere a nuove licenze.
Avversari: Ncc, Uber, RadioTaxi e consorzi in caso si utilizzi MyTaxi o simili, i comuni che aprono licenze a Ncc.

Cooperative
Interessi: evitare la concorrenza dei driver a noleggio e delle app che fanno del tassista un imprenditore autonomo che gestisca da sé le prenotazioni.
Avversari: Uber, MyTaxy.

Ncc
Interessi: lavorare il più possibile in capoluoghi con più mercato di prenotazioni, in modo flessibile.
Avversari: tassisti, in taluni casi Uber se si vuole maggiore indipendenza, territorialità delle licenze.

Uber
Interessi: aprire il mercato delle licenze e possibilmente della mobilità non professionale
Avversari: tassisti, alcuni Ncc, quella parte di opinione pubblica e politica ostile alle multinazionali.

MyTaxi
Interessi: promuovere il pluralismo di gestori e il rapporto diretto cliente-tassista tramite l’applicazione mantenendo inalterate le regole fissate per il servizio.
Avversari: Uber, cooperative tassisti.

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