Europa: i social mantengono gli impegni

L'iniziativa della Commissione con le piattaforme di social media e la società civile registra progressi e smentisce le prefiche dell'hate speech.
L'iniziativa della Commissione con le piattaforme di social media e la società civile registra progressi e smentisce le prefiche dell'hate speech.

A un anno esatto dal codice di condotta promosso dall’Unione europea per frenare l’incitamento alla violenza nei maggiori siti e social network, si cominciano a vedere risultati. In occasione di questo primo anniversario è stata pubblicata una sua valutazione, svolta da ONG e organismi pubblici di 24 Stati membri, da cui emerge che le società informatiche hanno compiuto notevoli progressi nell’onorare gli impegni assunti. Insomma, la vulgata dei social che non fanno nulla è una fake news.

La Commissione aveva deciso di far firmare una intesa con Microsoft, Facebook, Twitter, Google, insomma le big company della Rete, per cercare di migliorare le statistiche di rimozione dei contenuti illeciti in tempi ragionevoli. Dopo una prima valutazione lo scorso dicembre, ancora poco significativa, quella arrivata ieri mostra un balzo piuttosto impressionante. Naturalmente sono statistiche influenzate da una serie di dati molto brevi, quindi è ovvio che migliorano molto di volta in volta, partendo da quasi zero, ma in termini assoluti restano importanti: la percentuale di accoglimento delle notifiche per contenuti violenti ormai sfiora il 60%. Lo dice Bruxelles stessa, nella rendicontazione di questo progetto.

Sottoscrivendo il codice di condotta (pdf) le società informatiche si sono impegnate in particolare a riesaminare in meno di 24 ore la maggior parte delle notifiche valide di illecito incitamento all’odio e a rimuovere tale contenuto o a bloccarne l’accesso, se necessario, “sulla base delle legislazioni nazionali che recepiscono il diritto europeo”. Il codice ha inoltre sottolineato la necessità di proseguire le discussioni su come promuovere la trasparenza e incoraggiare messaggi alternativi che contrastino l’incitamento all’odio. Per questa ragione sono state realizzate diverse sezioni speciali su privacy, bullismo, anche su Facebook, in questi mesi.

I risultati della seconda valutazione mostrano che in media nel 59% dei casi le società hanno risposto alle notifiche, percentuale raddoppiata in sei mesi. Nello stesso periodo la percentuale di notifiche riesaminate entro 24 ore è passata da 40% a 51%. Ci sono differenze tra piattaforme e strumenti. Il monitoraggio ha evidenziato che mentre Facebook invia agli utenti un feedback sistematico sul modo in cui le loro notifiche sono state valutate, tra le società informatiche le pratiche differiscono notevolmente. La qualità del feedback sulla motivazione della decisione è un aspetto in cui sono possibili ulteriori progressi secondo i valutatori.

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La seconda valutazione della Commissione dimostra come in media, nel 59% dei casi le società informatiche hanno risposto alle notifiche riguardanti li’incitamento all’odio rimuovendo il contenuto. Questa percentuale è più di due volte superiore a quella del 28% registrata sei mesi fa. Tutti i big mostrano statistiche in forte crescita: Facebook è la prima e sola società che ha raggiunto pienamente l’obiettivo di riesaminare la maggior parte delle notifiche entro il giorno stesso. Fino ad oggi l’opinione prevalente era che non lo facesse.

Vĕra Jourová, Commissaria europea per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere, ha commentato questi dati:

I risultati della seconda valutazione del codice di condotta sono incoraggianti. Le società informatiche stanno eliminando, a un ritmo più sostenuto, il doppio dei casi di illecito incitamento all’odio rispetto a sei mesi fa. Dimostra che un approccio di autoregolamentazione può funzionare se tutti gli attori fanno la loro parte. Va tuttavia ricordato che le società informatiche hanno una grande responsabilità e devono compiere ulteriori progressi per tenere fede a tutti gli impegni assunti.

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Le rimozioni secondo i Paesi. Si nota come l’Italia registri una impennata clamorosa negli ultimi sei mesi. Il dato è influenzato dal fatto che i tassi di rimozione tra i due canali di comunicazione stanno convergendo, riducendo il divario in differenza di trattamento a seconda della fonte della notifica (flagger attendibili o utenti generali). Il dato italiano è prodotto dall’analisi dell’UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che ha segnalato 197 casi. Le statistiche generali dei social in Europa confermano purtroppo che il principale terreno dove si sfoga l’hate speech è nei confronti degli immigrati e dei rifugiati, nel 17,8% dei casi, che si somma col 17,7% dei discorsi d’odio indirizzati più generalmente ai musulmani; la terza voce, col 15,8% è l’origine etnica.

Di cosa abbiamo discusso, allora?

Di fronte a questi dati, ci si chiede: allora di cosa si è discusso fino ad oggi? Webnews ha sempre sostenuto che l’allarme sull’hate speech, le lettere a Zuckerberg, le assurde proposte di leggi punitive, erano frutto di una percezione irreale. Oggi ci sono delle statistiche a supporto, prodotte da società indipendenti e per conto della Commissione europea. Ovviamente sono risultati che possono e devono migliorare, ma la chiave non è mai cambiata: rispetto al flusso dei contenuti, ogni ipotesi di rimozione preventiva, di filtri, o di responsabilità oggettiva per omesso controllo dei social, è completamente fuorviante ed alimenta diverse strategie che finiscono tutte nel Rumore dei nemici, una cultura colpevolista che salda gli interessi della peggior politica e delle peggiori vendette dei media tradizionali, spesso colpevoli della creazione di mostri che poi imputano proprio ai social network.

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