Fotografia: convergenza e cambiamento culturale

Gli smartphone evolvono le loro capacità di imaging e le fotocamere integrano funzionalità mobile, mentre cambiano le modalità di lettura delle immagini.
Gli smartphone evolvono le loro capacità di imaging e le fotocamere integrano funzionalità mobile, mentre cambiano le modalità di lettura delle immagini.

Il settore imaging è interessato e attraversato ormai da qualche anno da un profondo moto di evoluzione-involuzione-rivoluzione che sta portando alla progressiva scomparsa di alcune categorie e alla repentina crescita di altre. Se da un lato il segmento reflex appare come stagnante, almeno dal punto di vista delle vendite, dall’altro i prodotti della gamma mirrorless guadagnano terreno, mentre le performance sempre più raggrinzite delle compatte sembrano delineare un destino inesorabile.

Difficile identificare un solo fattore come responsabile del trend, ma se proprio si dovesse puntare il dito (non per forza in modo accusatorio) nei confronti di un elemento scatenante, la scelta ricadrebbe con tutta probabilità sulla fotografia mobile e sulla sua inarrestabile ascesa: non tutti portano con sé una fotocamera, ma ognuno di noi trascorre l’intera giornata in compagnia del proprio smartphone, un dispositivo in grado di acquisire immagini con una facilità senza precedenti, in modo semplice, immediato e senza doversi preoccupare di alcuna impostazione. Non ci addentreremo ora in considerazioni sulla qualità dei file generati da un telefono: rimandiamo gli interessati a un approfondimento pubblicato di recente su queste pagine che indaga la differenza tra una bella foto e una buona foto.

Convergenza tecnologica

Cosa sta accadendo, quindi? È corretto parlare di convergenza tecnologica? Per l’autore di questo articolo, sì. Chi progetta i moduli fotografici degli smartphone lavora sodo per colmare il gap che separa le performance di questi ultimi da quelle delle fotocamere più tradizionali, anche facendo leva sulle potenzialità di algoritmi e intelligenza artificiale. Al tempo stesso, i produttori di dispositivi dedicati si ispirano alle funzionalità proprie dell’ecosistema mobile per ampliare la gamma delle caratteristiche offerte all’utenza. Si pensi ad esempio all’inclusione dei moduli wireless nelle mirrorless e nelle reflex, per la condivisione rapida delle immagini sui social network, così come all’implementazione di software per apportare ritocchi e post-produzione direttamente in macchina, ancor prima di scaricare i file nel disco fisso del computer. Tutto questo senza dimenticare il fenomeno selfie, ormai arrivato a contagiare i brand storici della fotografia: il selfie stick di Nikon e la “selfie camera” N100 di Canon ne sono esempi perfetti.

Il cambiamento, né buono né cattivo

È dunque un’evoluzione? Oppure un’involuzione? Né l’una, né l’altra. Forse è più corretto parlare di rivoluzione. Certamente si sta affrontando un cambiamento. Etichettare il processo in atto attribuendogli una valenza esclusivamente positiva o negativa significa non mettersi nelle condizioni di trarne ciò che di buono ne può scaturire. Si correrebbe il rischio di innescare e incentivare in qualche modo lo stesso atteggiamento ostruzionista assunto ormai qualche decennio fa da chi difendeva a spada tratta l’autenticità dell’analogico, bollando l’avvento del digitale come un colpo di grazia alla pratica fotografica tradizionale. Tutti sappiamo come sono poi andate realmente le cose.

Dal punto di vista delle modalità di produzione e fruizione delle immagini ci si trova in un’era dove la sovrabbondanza regna sovrana e il pericolo che tutti corriamo è quello di prestare un’attenzione sempre più risicata a ciò che ci si para di fronte: l’incessante aggiornamento dei nostri feed sui social impone un’interazione veloce, rapida, istantanea, lasciando poco spazio alla riflessione e alla volontà di instaurare un’interazione di tipo proattivo e bidirezionale tra lo scatto (o gli scatti) e chi ne fruisce. Si è poi tentati di attribuire al like o al loro equivalente il ruolo di unità di misura universale per il valore di un’immagine, spingendo così inconsapevolmente e involontariamente chi la produce a cercare scorciatoie per confezionare una foto che sappia strizzare l’occhio ai gusti del suo potenziale pubblico.

Il fattore culturale

Il problema, se esiste un problema, è dunque di tipo culturale ancor prima che tecnico o tecnologico. Stiamo disabituando gli occhi ad assorbire ciò che un’immagine intende davvero comunicare, la guardiamo attraverso il filtro del nostro giudizio (anzitutto estetico) invece di osservarla al fine di cogliere ciò che il suo autore ha realmente voluto esprimere con la messa in atto del processo creativo. Non le concediamo il tempo di trasmettercelo.

Anche a questo non va però attribuita un’accezione esclusivamente negativa: osservando ciò che accade da un punto di vista più ampio ne emerge la fotografia (in senso lato) di un’era, un fotogramma che immortala l’attimo di un percorso più ampio. Il boom della fotografia mobile, infatti, costituisce per alcuni l’opportunità di avvicinarsi a una forma espressiva che altrimenti non avrebbe forse mai approcciato, sperimentandola inizialmente attraverso il display di un telefono per poi passare, se c’è la volontà di approfondirne la conoscenza, a strumenti che consentono una maggiore libertà d’azione e controllo.

Il futuro del mercato

Tornando alla riflessione iniziale, legata al mercato, anticipare con precisione quelle che saranno le prossime evoluzioni del settore imaging è fuori dalla nostra portata, una pratica sulla quale spesso scivolano anche analisti e addetti ai lavori. Volendo azzardare una previsione, si potrebbe puntare sulla progressiva scomparsa del segmento riservato alle compatte, con un’ulteriore crescita dei dispositivi mirrorless grazie anche ai più recenti passi in avanti compiuti dal punto di vista tecnologico (l’assenza dello specchio si fa sempre meno gravosa), che sanno unire la versatilità di una macchina a ottiche intercambiabili alla comodità di un corpo dalle dimensioni contenute.

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