Una bella foto non è per forza una buona foto

Una riflessione sull'evoluzione della fotografia mobile, partendo dalle considerazioni di Vic Gundotra sulle capacità di iPhone in termini di imaging.
Una riflessione sull'evoluzione della fotografia mobile, partendo dalle considerazioni di Vic Gundotra sulle capacità di iPhone in termini di imaging.

Quante volte abbiamo sentito qualcuno affermare che “iPhone è meglio di Android” o viceversa? Tralasciando che così facendo si mettono a confronto, sullo stesso piano, un dispositivo e un ecosistema, il più delle volte l’uscita può essere etichettata come l’innocua vanteria di un fanboy. Se le parole escono dalla bocca (o dai post) di Vic Gundotra hanno però un peso specifico differente.

Classe 1968, indiano d’origine, ha prestato il proprio servizio a Google dal 2007 al 2014, rivestendo uno dei ruoli più importanti delle divisioni mobile e Android. Lasciato il gruppo di Mountain View si è unito ad AliveCor dove ora occupa la poltrona di CEO. Nei giorni scorsi è intervenuto su Facebook condividendo due fotografie dei suoi figli, scattate di sera all’interno di un ristorante. Fin qui nulla di strano, se non fosse che ad accompagnare le immagini (visibili di seguito) è un commento che si presta a una discussione o quantomeno a una riflessione. Eccolo riportato in forma tradotta.

La fine delle DSLR per molte persone è già arrivata. Lascio la mia fotocamera professionale a casa e scatto queste fotografie a cena con il mio iPhone 7, utilizzando la fotografia computazionale (Portrait Mode, come la chiama Apple). Difficile non definire questi risultati (in un ristorante, catturati da un telefono senza flash) incredibili. Ottimo lavoro, Apple.

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A chi gli fa notare come alcuni top di gamma del catalogo Android siano in grado di fare altrettanto, se non addirittura meglio, Gundotra replica in modo esteso. Questo un estratto.

Ecco il problema: è Android. Android è un sistema operativo open source (per la maggior parte), che dev’essere neutrale per tutti. Questo suona bene finché non si scende nei dettagli. Vi siete mai chiesti perché Samsung offra una serie di opzioni confuse e incomprensibili per la fotografia? Devo utilizzare la Samsung Camera? Oppure la Android Camera? La galleria di Samsung o Google Foto?

Fotografia mobile e superficialità

Fermiamoci qui, senza esaminare le considerazioni seguenti in merito a ritmi di innovazione, API e altro ancora. La confusione a cui si fa riferimento non è prerogativa dell’ecosistema Android: anche su iOS è possibile utilizzare app differenti rispetto a quelle proposte dalla mela morsicata per scattare o gestire il proprio archivio (lo stesso Google Foto è presente su App Store). Semmai, si può puntare il dito contro la scelta dei produttori di preinstallare più applicazioni dedite alla stessa funzione su un dispositivo prima di metterlo in commercio.

Ancor più interessante, però, tornare al post originale. Le foto pubblicate da Gundotra sono certamente di qualità, su questo non ci sono dubbi, soprattutto se si considera che sono state scattate da uno smartphone in condizioni di illuminazione complesse (di sera, in un ristorante e senza flash). Affermare che due immagini ben riuscite siano sufficienti a stabilire la supremazia di un dispositivo su un altro in termini di imaging, però, è sintomo di superficialità.

Il confronto tra device va effettuato in un ambiente controllato, seguendo procedure rigorose e precise, mettendo sensori e ottiche alla prova con test standardizzati. Se proprio si desidera far riferimento a un benchmark, DxOMark mette al primo posto tra gli smartphone il modello HTC U11 con un punteggio pari a 90 [amazon asin=B0719BNT5S], seguito da Google Pixel (89), HTC 10 [amazon asin=B01E610DEQ], Samsung Galaxy S8 [amazon asin=B06XWN7VCQ], Samsung Galaxy S7 edge e Sony Xperia X Performance (88), Huawei P10, Motorola Moto Z Force, OnePlus 5, Samsung Galaxy S6 edge+, Sony Xperia XZ e Sony Xperia Z5 (87), mentre iPhone 7 si classifica solo alla quinta posizione in compagnia di LG G5, Samung Galaxy Note 5 e Samsung Galaxy S6 edge (86).

La fine delle DLSR?

Il vero nocciolo della questione, ciò che denota un’eccessiva faciloneria nell’analisi, è il riferimento alla “fine delle DSLR”. Se il segmento reflex andrà contraendosi (il trend è già stato innescato), non sarà certo per l’evoluzione delle capacità fotografiche integrate negli smartphone, semmai per una progressiva espansione delle mirrorless o di altri formati che arriveranno sul mercato. Proviamo a scriverlo in altri termini: un telefono non sarà mai in grado di assicurare la stessa versatilità di un dispositivo fotografico dedicato, per varie ragioni, la prima delle quali è da ricercarsi nelle dimensioni obbligatoriamente contenute dei sensori equipaggiati. Davvero si vuol paragonare un modulo full frame o medio formato a quelli miniaturizzati inseriti nella scocca posteriore di un telefono?

Perché allora le foto di iPhone 7 (ma anche dei top di gamma Android) ci sembrano così “belle”? In primis perché le osserviamo perlopiù su display molto piccoli e a un livello di zoom nella maggior parte dei casi ben inferiore al 100%, il che contribuisce a ridurre al minimo la possibilità di notare la presenza di rumore, compressioni e difetti di altro tipo.

La libertà di sbagliare

Vien quindi naturale passare alla seconda parte dell’intervento di Gundotra: il suo riferimento alla fotografia computazionale. Di cosa si sta parlando? Di post-produzione? Di ottimizzazione di luci e ombre in fase di acquisizione? Anche in questo caso, non si considera un elemento fondamentale: un’alterazione dell’immagine acquisita può risultare piacevole allo sguardo, ma pur sempre di un’alterazione si tratta. Se i professionisti della fotografia continuano a preferire reflex o mirrorless agli smartphone è proprio per questo motivo: permettono di sbagliare, attribuiscono a chi preme l’otturatore la responsabilità di catturare la luce agendo in modo libero e incondizionato.

Una bella foto non è per forza di cose una buona foto.

Una bella foto non è per forza di cose una buona foto, ma questo, purtroppo, nell’era dello sharing e del bombardamento social di immagini, quando la fruizione di uno scatto dev’essere immediata, è una considerazione poco condivisa. Su queste pagine abbiamo espresso la medesima opinione e gli stessi dubbi nei mesi scorsi, quando un ingegnere di bigG ha elogiato le abilità del Nexus 6P nella fotografia notturna, così come quando poche settimane fa Google ha svelato un progetto finalizzato all’impiego di un’intelligenza artificiale per l’ottimizzazione delle foto paesaggistiche. Il parere di chi scrive non cambia: quando la tecnologia anziché espandere la libertà d’azione del fotografo la imbriglia al fine di restituire un risultato “migliore”, non si può parlare di reale evoluzione.

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