Dei commenti e delle pene

Beppe Grillo chiede che si guardi ai commenti violenti su Repubblica.it, non solo quelli sul suo blog: la polemica nasconde però qualcosa di più profondo.
Beppe Grillo chiede che si guardi ai commenti violenti su Repubblica.it, non solo quelli sul suo blog: la polemica nasconde però qualcosa di più profondo.

Il secondo post dell’anno sul blog di Beppe Grillo merita un minuto di riflessione. Non si vuol qui dar cenno al contenuto politico del messaggio (altri, altrove, hanno maggior interesse nell’analisi contenutistica), né si intende sposare una verità piuttosto di un’altra vestendo o svestendo colori politici ad uso e consumo di chissà quale interesse. Quel che si vuol fare è semplicemente chiedere di porre attenzione al caso specifico segnalato da Beppe Grillo, per guardare poi la data del post: 2 gennaio 2014. Oggi. Di nuovo.

Una pioggia di insulti e minacce rivolti a Napolitano si sta riversando sulla pagina Facebook de la Repubblica. Il giornale di De Benedetti ha infatti postato una foto di Napolitano con il link al video che racconta il suo messaggio di fine anno. “Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica”, ha commentato su Facebook la Repubblica. E in poco più di un’ora, centinaia di persone hanno commentato – a modo loro – il post del giornale. C’è chi passa direttamente alle minacce a Napolitano. I commenti con insulti pesanti e minacce persistono dopo giorni sulla pagina di Repubblica. Repubblica cancelli al più presto i vergognosi insulti e le minacce prima che Napolitano decida di denunciare il giornale di De Benedetti per vilipendio.

Beppe Grillo ha motivi precisi per sottolineare quanto accaduto: siccome da settimane è sotto il tiro incrociato di quanti vogliono associare il tenore dei commenti al tenore dei post, girando le responsabilità dei primi al tenutario del blog, il comico genovese ha trovato motivo di rivalsa sulla controparte segnalando come un giornale quale Repubblica.it soffra del medesimo male. E chiede pertanto parità di trattamento, usando ancora una volta l’ironia per distruggere le accuse contro il M5S, la sua leadership e tutto quel che circonda il mondo dei “grillini”. Questo il riassunto: cose note, cose buone per riempire le pagine dei giornali e la bocca dei politologi. Ma c’è dell’altro.

2014: torna il balletto delle responsabilità

Il percorso che arriva al 2 gennaio 2014 è lungo. Inizia di fatto il 6 aprile 2001, quando per la prima volta la politica italiana iniziò a riflettere sulla corretta attribuzione delle responsabilità nel mondo online: assoggettare il Web alla legge sulla stampa (di origine fascista) significava mettere un “bavaglio” al Web, e la cosa fu immediatamente chiara a tutti. O quasi: il termine “bavaglio” nasceva in un contesto ancora poco maturo, ma nel tempo ha fatto capolino più e più volte all’interno del balletto sincopato della redistribuzione delle responsabilità tra autori, editori, commentatori, provider e quanti altri attori contribuiscono a ridisegnare il mondo dei contenuti e della loro distribuzione.

19 ottobre 2007: la nuova Legge sull’Editoria istituisce il famigerato Registro degli Operatori della Comunicazione ed ancora una volta il balletto delle responsabilità prende vita con effetti a metà tra il tragico e il comico: diventa chiaro a tutti quanto un semplice commento su un blog possa diventare oggetto di denuncia e di condanna per chiunque, mettendo così a repentaglio la libertà di espressione. Ai tempi un esponente politico si sfogò con Webnews spiegando a chiare lettere che “è venuto il momento di mettere un freno a questa cosa che chiunque può scrivere la sua idea sul Web”, salvo poi non autorizzare la pubblicazione di tali frasi rileggendole in seconda battuta con maggior lucidità.

I passi indietro avvenuti in seguito ad ogni singola proposta sono un modo di riparare al danno o un semplice mollare la presa di fronte alle pressioni ricevute? Sicuramente non sono espressione di un reale ripensamento, se è vero che il 10 novembre 2008 il Web viene tirato per la giacchetta da una nuova proposta di legge relativa alle responsabilità editoriali di chi pubblica online. Poche settimane più tardi, il 6 febbraio 2009, il dito viene puntato anche contro Facebook, aprendo così il fronte anche verso i social network: «Facebook è uno strumento troppo ampio, popolare ed esposto per permettere che vi siano contenuti così incivili e vergognosi». La storia continua con il Pacchetto Sicurezza, con i tentativi di “garantire la legalità nella rete internet” ed altri capitoli ancora, non meno gravi e non meno sconfortanti.

Lo abbiamo chiamato a suo tempo “il rumore dei nemici“. Non ha colore, non ha firma, non ha padrone: è semplicemente un vento contrario (fatto di interessi e nutrito dalla disinformazione) al quale hanno via via partecipato tutte le formazioni che hanno animato la politica e il dibattito parlamentare dell’ultimo decennio.

E si arriva al 2 gennaio 2014: ancora una volta si è costretti a discutere di commenti online, di responsabilità da allocare e di situazioni nelle quali si sfrutta strumentalmente il Web per interessi ben lontani dal Web medesimo.

Occasioni perse

I commenti “violenti” nei confronti del politico di turno potrebbero essere letti e interpretati in molti modi:

  • Dovrebbero far riflettere sul rapporto di fiducia che la popolazione ha nei confronti della classe politica;
  • dovrebbero far riflettere sullo stato di frustrazione di quanti usano la violenza verbale per esprimere il proprio disagio;
  • dovrebbero far riflettere sull’aumento diffuso del disagio che trova manifestazione nelle espressioni violente e volgari;
  • dovrebbero far riflettere sull’incapacità di sublimazione del disagio in proattività, della critica sovversiva in atteggiamento costruttivo;
  • dovrebbero far riflettere sulle responsabilità della politica nell’accendere gli animi per catalizzare voti attorno al disagio invece che attorno alla proposta;
  • dovrebbero far riflettere sulla scarsa consapevolezza diffusa nei confronti dello strumento Web, usato da troppi come valvola di sfogo senza notare quanto sia sterile un atteggiamento di questo tipo;
  • dovrebbero far riflettere le dinamiche del “branco” che ringhia nei confronti della vittima da attaccare, ma che legittima la propria forza senza avvalorare la posizione del singolo;
  • dovrebbe far riflettere la tendenza del Web a specchiarsi in sé stessi, accomodandosi in mezzo a posizioni affini per confermare le proprie posizioni ed esacerbando i confronti in vere guerre ideologiche nelle quali non vince chi ha un argomento migliore, ma chi lo sa urlare più forte, con più insistenza, con maggior eco e con i toni più pungenti: la corsa alla volgarità ed alla violenza è incarnata in questa polarizzazione tra il “noi” e il “loro” nel quale nessuna posizione è certa e nella quale l’io diventa un rifugio.

Gli spunti di riflessioni sarebbero molti, da riempire i libri e da occupare il tempo dei sociologi. Invece la tuttologia al soldo della politica non sa fare a meno di dar fiato alla polemica interessata sui commenti in un blog, usati per denigrare l’avversario politico agli occhi di chi non riflette sulle dinamiche del Web e sul tenore tipico degli interventi online.

Il rumore dei nemici tornerà presto a bisbigliare proposte di legge per regolamentare quel che non serve regolare al di là di quanto la logica non suggerisca: l’identificazione del responsabile, l’applicazione delle norme esistenti e la valutazione dell’opportunità di agire o meno contro i singoli. Una certa tolleranza nei confronti di quella che è più che altro frustrazione sociale, però, aiuterebbe altresì ad abbassare i toni, demistificando la violenza verbale per degradarla a semplice rigurgito insonorizzato.

La politica dovrebbe imparare ad ascoltare nel silenzio il commento violento, capirlo e farlo proprio. La risposta non deve essere nei confronti del commentatore, ma nei confronti della frustrazione che esso incarna e che il commento esprime. La politica dovrebbe evitare di usare il Web come clava, perché è invece un luogo che ha bisogno di cure amorevoli e di grande intelligenza.

Si lasci stare il Web lontano sia da premi che da crociate, ma soprattutto lontano da ogni strumentalizzazione: sia soltanto un ambasciator che non porta pena. Si vada all’origine del male, se davvero lo si vuol risolvere, e si rifletta su quanta violenza reale sia nascosta nella nube vaporosa dei commenti online. 2 gennaio 2014: il rumore dei nemici non si è ancora placato e l’incapacità generale del paese di discutere sul serio dovrebbe preoccupare ben di più di qualche commento violento sfuggito dalle dita di una persona che, in preda alla sofferenza, non ha più quella minima dose di senno necessaria per controllare l’ira in quel breve spazio che divide l’istinto dal tasto “invia”.

Il discorso meriterebbe di essere approfondito ulteriormente. Perché nella delegittimazione dell’avversario c’è qualcosa di profondo, che con il Web ha poco a che fare e che si annida in dinamiche politiche e sociali fortemente incarnate nel nostro tempo. Il Web ne esce come vittima sacrificale, violentato ogni giorno da esaltazioni e accuse spesso fragili e pretestuose. Noi, che del Web parliamo ogni giorno, non possiamo che difenderlo ribadendo il nostro manifesto che punta ad un orizzonte neutrale. Una chimera, forse, perché nessuno è neutrale quando deve sporsi le mani; tuttavia lo siano almeno le intenzioni, e con queste si possa arrivare al 3 gennaio, e poi al 4, e poi al 5, facendo piccoli passi avanti invece di continui passi indietro.

Perché sprofondare il 2 gennaio 2014 al 6 aprile 2001 è un insulto all’intelligenza, oltre che al rispetto per i lettori, i cittadini e la società.

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