La Fieg ci riprova: soldi da Google News

Germania, Francia e Spagna ingolosiscono la federazione dei giornali italiani, che vorrebbe si riconoscesse il valore dei contenuti su Google News.
Germania, Francia e Spagna ingolosiscono la federazione dei giornali italiani, che vorrebbe si riconoscesse il valore dei contenuti su Google News.

Sembra proprio che sia venuto il momento della resa dei conti tra editori e Google News anche in Italia. L’ultima sentenza in un paese europeo, la Spagna, che ha riconosciuto il valore economico delle informazioni riprodotte sull’aggregatore di notizie ha ridato vigore al desiderio della Fieg di riuscire nello stesso intento.

Che la Federazione Italiana degli editori di giornali vorrebbe che Google News firmasse un bell’assegno è cosa risaputa da anni. Le ragioni per cui lo chiede generalmente cambiano, approfittano di differenti questioni, di sentenze, anche di argomenti che esulano dallo stretto rapporto tra il colosso californiano e gli editori e invece pescano nella moralità pubblica. Ad esempio, il neo presidente Maurizio Costa ha rilasciato di recente una dichiarazione alla stampa nella quale sostiene che Google dovrebbe pagare le tasse sul fatturato che realizza in Italia. Le risorse che ne deriverebbero, spiega, potrebbero essere destinate «all’implementazione delle infrastrutture tecnologiche e digitali, come la banda larga e il wifi nel nostro Paese».

Quale modo migliore per ingraziarsi l’opinione pubblica? Chi non vorrebbe che tutti pagassero le tasse e i ricconi più degli altri? Meglio prenderla alla larga piuttosto che partire dalla crisi dei giornali e dall’argomento – già più discutibile – secondo il quale i giornali sono in crisi per colpa del motore di ricerca e che i link microtestuali di Google News andrebbero pagati perché coperti dal diritto d’autore.

Cosa sta succedendo all’estero

In questo momento sono tre i paesi europei ai quali l’Italia può guardare con un certo interesse. Della Spagna si è detto, restano Francia e Germania. Parigi è per il momento l’unica ad essere stata capace di ottenere qualcosa (60 milioni di euro) da Mountain View. Forse grazie a un approccio meno colpevolizzante. Il presidente della Fieg, però, ritiene non sia il modello da seguire:

Gli editori francesi si sono poi pentiti della soluzione. A noi l’idea di questa una tantum, di un condono tombale non piace. Chiediamo si paghi in modo trasparente e con continuità.

Sembra chiaro che gli editori di giornali italiani non vogliono un contributo una tantum, ma preferiscono il vitalizio. Una visione meno conciliante resa pubblica nelle stesse ore in cui giungeva una pessima notizia: Springer, il più grande editore tedesco, ha definitivamente rinunciato al blocco che tempo fa ha imposto a Google News. L’esperimento ha battuto ogni record di velleità: dopo due settimane è tornato sui suoi passi. Il numero di visitatori dei siti del Welt e delle altre testate del gruppo era crollato dell’80%, di conseguenza anche il concetto dietro l’autoesclusione dal servizio di aggregazione non è più sembrato tanto intelligente.

La ristrutturazione non passa per queste idee

Diciamola tutta: la sensazione è che Google abbia ben altro a cui pensare e sui microcontenuti del motore dica apertamente “se ci state è così, altrimenti quella è la porta”. Eventualmente aspettando, come in Spagna, una legislazione per via parlamentare affidata alle autorità di regolamentazione. Quando l’azienda americana pensa al mercato e all’europa, si preoccupa dell’esito dell’accordo con la Commissione e il nuovo insediato Günther Oettinger – che sta rimuginando da qualche tempo su un possibile contributo per lo sviluppo di Internet, paese per paese, da far pagare alle grandi web company – pensa alle norme su privacy, diritto all’oblio, il single digital market.

Chiunque visiti Google News vede che i contenuti rispettano le keyword della ottimizzazione per i motori di ricerca (seo), di fatto non c’è nessuna originalità, oggi come oggi, nella titolazione e nei contenuti basilari scritti per il web, perché verrebbe punita dagli algoritmi. Questo significa che in un certo senso è Google a dettare quei titoli e la vetrina consente di portare traffico altrimenti impensabile. È una tecnica, non un contenuto giornalistico vero e proprio degno di riconoscimento. Quello, quando c’è, è nell’articolo che si apre soltanto andando al sito originale.
Sarebbe un bene che chi si occupa del futuro del giornalismo, invece di prendersela con Google, leggesse con attenzione l’articolo di Arianna Ciccone, un piccolo capolavoro che smentisce ogni relazione tra crisi dei giornali e web e incalza gli editori sulle loro fin qui pallide reazioni al declino di un modello commerciale la cui difesa è ormai contraria ai nuovi bisogni dell’informazione.

La parola a Google

Un portavoce Google ha fornito a Webnews la seguente dichiarazione in risposta a quanto detto da Maurizio Costa (FIEG) a proposito di Google News:

In merito all’intervista di Maurizio Costa, Presidente di Fieg, desideriamo ricordare che Google collabora con gli editori per aiutarli a incrementare i ricavi delle loro testate online e ad avere un rapporto più diretto con i loro lettori. Gli editori, inoltre, possono scegliere se essere presenti in Google News oppure no. La verità è che Google invia ogni mese 10 miliardi di clic agli editori di tutto il mondo e che riceviamo di gran lunga più richieste di essere inclusi in Google News che non di essere esclusi. Inoltre, attraverso il programma AdSense, nel 2013 abbiamo ridistribuito 9 miliardi di dollari agli editori di tutto il mondo, una cifra in crescita di 2 miliardi rispetto al 2012.

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