La mano bionica che ripristina il tatto

I ricercatori della Case Western University progettano una mano in grado di permettere agli amputati di tornare ad eseguire movimenti piccoli e precisi.
I ricercatori della Case Western University progettano una mano in grado di permettere agli amputati di tornare ad eseguire movimenti piccoli e precisi.

I progressi effettuati dalla robotica nell’ultimo periodo hanno portato benefici concreti anche nell’ambito della medicina, soprattutto per quanto riguarda la realizzazione di arti in grado di rimpiazzare quelli dei pazienti amputati. Sistemi di questo tipo permettono loro di guadagnare nuovamente autonomia nella vita di tutti i giorni, tornando a interagire con il mondo che li circonda in modo quantomeno indipendente.

Parlando degli arti superiori, in particolare delle mani, uno dei problemi più grandi da affrontare riguarda come trasmettere gli stimoli legati alla sensibilità che normalmente si avverte toccando un oggetto: in altre parole, come ripristinare il tatto. La ricerca condotta da un team della Case Western University va proprio in questa direzione. Ancora una volta un filmato vale più di mille parole: spazio dunque al video in streaming di seguito, che mostra come la tecnologia consenta al paziente di dosare con precisione il movimento, esercitando una forza adeguata e fermando lo spostamento delle dita al momento giusto.

Per dimostrarne l’efficacia, viene chiesto alla persona sottoposta al test di staccare delle ciliegie dal loro gambo, senza rovinare la parte commestibile del frutto. Questo dopo essere stata bendata in modo da non poter vedere e munita di cuffie in cui viene riprodotto un disturbo, così da non potersi aiutare con l’udito. Nella prima parte della clip, senza l’ausilio della tecnologia, l’esperimento non va a buon fine, mentre nel secondo spezzone l’operazione viene effettuata con successo 14 volte su 15.

Il funzionamento è piuttosto complesso, ma può essere riassunto con quanto segue: 20 sensori misurano la resistenza percepita dai polpastrelli al contatto con l’oggetto, trasmettendo poi l’informazione direttamente ai nervi posizionati nell’avambraccio. Il dato relativo alla forza da esercitare viene poi interpretato monitorando gli impulsi mioelettrici normalmente generati dai muscoli del braccio.

La chiave di tutto è rappresentata da uno strumento chiamato cuff electrode, una sorta di elettrodo impiegato già da tempo in medicina per la stimolazione del nervo ottico, qui utile per mettere in comunicazione la parte dell’arto rimanente con la protesi mediante gli assoni. I risultati della sperimentazione hanno fornito risultati incoraggianti dopo 18 mesi di test.

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