Microsoft contro Apple: vogliono fare i furbi

Un vecchio detto dice che in amore e in guerra tutto è consentito. Ma nel momento in cui scendono in campo Microsoft e Apple d’amore ce n’è veramente poco; c’è però il sapore di una guerra, una guerra commerciale che si gioca in campo aperto e su tutti i fronti, anche su quello dei cavilli legali.

Riguarda infatti proprio quest’ultimo aspetto il più recente capitolo della questione che vede i due gruppi contro a causa del marchio “App Store”, il brand registrato da Apple con cui il gruppo di Cupertino identifica il proprio negozio virtuale di applicazioni per dispositivi quali iPhone, iPad e iPod.

La querelle ha preso il via tempo fa, quando Microsoft presentò un reclamo all’Ufficio Patenti e Brevetti degli USA contro la registrazione del suddetto marchio, asserendo che l’espressione è troppo generica per poter diventare di proprietà esclusiva di un’azienda.

Di contro, Apple aveva replicato attaccando il marchio “Windows”, che, da nome generico è stato brevettato da Microsoft diventando uno dei suoi brand di successo, ragion per cui ogni accusa verso App Store sarebbe da rigettare.

Oggi, invece, ecco arrivare la contro-risposta di Microsoft, che ha accusato Apple di giocare in maniera scorretta nella composizione del documento contenente la propria tesi difensiva e inviato all’Ufficio Brevetti, un documento che sarebbe composto di 31 pagine a fronte delle 25 previste dalle norme, oltre ad essere redatto con un carattere di dimensioni inferiori a quelle consentite, che sono di 11 punti.

Questo particolare “accorgimento”, a detta di Microsoft, consentirebbe a Apple di inserire dei contenuti in più a sua difesa rispetto a quelli normalmente consentiti nel caso in cui la scrittura del documento avesse rispettato le regole, andando di conseguenza a falsare la sua validità agli occhi di chi è deputato a dirimere la questione.

Se l’osservazione del gruppo di Redmond sarà accolta, Apple sarà ovviamente costretta a riscrivere le proprie argomentazioni, con ulteriore perdita di tempo, che darebbe modo a Microsoft di trovare ulteriori motivazioni a favore della propria posizione.

Insomma, si tratta di una guerra senza esclusione di colpi (bassi), dove anche una semplice questione formale, che comunque sembra legittimata dalle regole, potrebbe essere la carta vincente.

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