Turiscalabria! O del sapere come vengono usati i nostri soldi

Catanzaro, 19 novembre 2007. Nicola Adamo, Pier Luigi Aymerich, Giancarlo Perani e Pasquale Anastasi indicono una conferenza stampa per presentare un sito web nuovo di zecca.

Nicola Adamo (ex DS, ora PD), è il vicepresidente della regione con delega al marketing regionale (boh, si vede che in Calabria il turismo lo chiamano così).

Pier Luigi Aymerich è, oltreché il boss di Alos Communication Srl, web agency romana, un fine intellettuale (Google ce lo segnala a festival d’arte e filosofia in modo abbastanza massiccio), nonché probabilmente figura molto prossima ai DS: la sua Alos ha curato il sito elettorale del ministro Melandri durante le utlime politiche, e lo stesso Aymerich era l’intestatario del conto corrente su cui versare le sovvenzioni economiche alla campagna elettorale della stessa Melandri. Perani e Anastasi, due dirigenti regionali, li releghiamo in questo post al ruolo di comprimari.

Torniamo al sito: si tratta del nuovo portale (argh) di promozione turistica regionale. Si chiama Turiscalabria.it. Ed è questo.

Occhio al payoff, invero a suo modo geniale: “Calabria. Nulla da dire”. Geniale, ma non esageriamo: qualcosina da dire ci sarebbe.

Un passo indietro.

30 dicembre 2003
: viene approvato il progetto interregionale “Turismo in Rete” che coinvolge Calabria e, in minima parte, Basilicata. Il progetto viene finanziato con ? 1.666.866,67: il 90% ce li mette il Ministero delle Attività Produttive, il 10% Calabria e Basilicata (il mondo dei progetti interregionali per il turismo è mirabolante: per i coraggiosi, questo lungo post che scrissi a suo tempo per scandaloitaliano).

27 dicembre 2004: dopo un anno, esce il bando di gara per la realizzazione del sito.

1 febbraio 2006: dopo un anno e un mese, la gara viene assegnata definitivamente a un raggruppamento di imprese: Alos (capofila) con Acrobats Soc. Cooperativa ? Estrocal S.r.l. e la Soc.Mercury S.r.l. Importo dell’appalto: ? 1.366.899,00 Iva compresa.

Il contratto prevedeva molte cose: tra cui che il sito sarebbe dovuto andare online entro dodici mesi dalla firma del contratto medesimo, quindi entro febbraio 2007, e gestito, collaudato e consegnato chiavi in mano alla Calabria tutta il 31 marzo 2007.

Nel luglio 2006 l’allora assessore al turismo Donnici (ah, la focosa Calabria, terra di rimpasti) si getta con sprezzo del pericolo davanti ai taccuini dei giornalisti per dire che turiscalabria “sarà attuato al 70 per cento entro l’anno e al 100 per cento entro marzo 2007, sarà in rete, in quattro lingue, tutta l’offerta turistica calabrese, cioè il prodotto Calabria per quello che è”. Aggiunge anche un sinistro e sibillino “l’assessorato sarà sul sito Italia.it . L’impegno di spesa è di 821 mila euro”. Ma questa è un’altra storia.

Torniamo alla fine novembre attuale, quando il progetto, diversi mesi dopo il previsto, e comunque a quasi tre anni dalla pubblicazione del bando di gara, va online.

E soprattutto, torniamo al sito. Che, a detta di tutti i navigatori che hanno espresso un parere rintracciabile, è proprio brutto e fatto male. Povero di contenuti. Statico come un macigno. Spoglio graficamente. Privo di tool e servizi di qualsiasi tipo per gli utenti. Con la traduzione quadrilingue del tutto incompleta. Coi contenuti non originali, ma ricilati dalle più svariate fonti (altri siti istituzionali, siti di privati cittadini: non sono illazioni, le fonti cono correttamente menzionate). Ma soprattutto riciclati dallo scomparso portale calabriaweb.it.

Un brevissimo passo indietro. Calabriaweb fu uno degli effimeri frutti del mastodontico – economicamente parlando – Piano Telematico Calabria (PTC). Una colossale operazione di sistema, nata a inizio novanta pare con le migliori intenzioni, che doveva trasformare la Calabria in una nuova Silicon Valley. A tal fine fu costituito un consorzio, TELCAL, formato da Regione Calabria (40%), Telecom Italia (24%), Intersiel (24%) e Italeco (12%), a finanziamento strettamente pubblico. E sempre a tal fine vennero attivati una decina di progetti (tra cui calabriaweb.it) e vennero, diciamo così, consumati circa quattrocento miliardi delle vecchie lire. E con consorzio, progetti e quattrocento miliardi, le buone intenzioni hanno vita dura.

Infatti, nel 2002, finiti i soldi, il fuggi fuggi: tutto è stato smantellato, lavoratori mandati a spasso, e dei miliardi e dei progetti e della Silicon Valley non rimane più traccia. Se non, forse, qualche testo da ricicciare in un portalino regionale del turismo. Ah, i casi della vita: la capa del consorzio TELCAL all’epoca della sua gloria e del suo tonfo era Enza Bruno Bossio, moglie di Nicola Adamo (il tipo che abbiamo introdotto a inizio post). Per la cronaca, sono entrambi indagati nell’ambito della discussa inchiesta WHYNOT del fu (titolare dell’inchiesta) De Magistris.

Oggi calabriaweb.it non c’è più (e telcal.it è uno spam engine: manco i soldi per mantenere il dominio son rimasti). Del portale originale, che ebbe i suoi estimatori, sopravvive memoria solo nella wayback machine.

Ma torniamo al sito. Brutto, dicevamo, fatto male. Pazienza, uno dirà: capita! Sì, ok, capita: quello che però sta inquietando alquanto il web calabrese, e non solo, è che tutto ciò possa essere costato un milione e trecentomila euro. Di soldi comunque italiani eh, non calabresi: che il finanziamento veniva da un Ministero. Questo per dire che il problema, se c’è, riguarda noi tutti.

Sì, perché uno che sul web ci bazzica e un’idea dei costi ce l’ha, vede il sito e si dice, ok, anche stando larghi, ma unmilioneetrecentomilaeuro proprio no. Eccheppoi si può pensare a malegestioni, a scandali, a malaffare. E invece magari non è vero.

Certo, basterebbe un minimo di trasparenza negli atti della Pubblica Amministrazione per rimettere le cose a posto: “Guardate, onusti cittadini, i conti son nel dettaglio questi, vergati in questi documenti ufficiali che la saggezza legislativa ci obbliga a rendere disponibili online: come vedete non siamo farabutti grassatori, ma solo, al limite limite, un briciolino cretini”.

Ma, in Italia, i cittadini non possono sapere, per legge, come vengono spesi i soldi che mettono in comunanza attraverso le tasse. Pussa via, comune cittadino! Vietato! L’interesse al buon andamento della pubblica amministrazione non è in alcun modo un vostro diritto, cari lettori. Lavorare, pagare e muti. Politici e dirigenti dai profumati stipendi estratti dalle nostre buste paga, come angeli custodi promananti un aerosol a base di oppiacei, governano i nostri destini e ci sollevano, benevoli e imperscrutabili, da ogni ulteriore preoccupazione. Plìn plòn plìn (ehm, com’è l’onomatopea di un’arpa?).

Poi, magari, quando le basse sfere ci gireranno abbastanza, o miei simili bloggers, e ne avremo abbastanza di una dieta a base esclusiva di gadget, scherzi fra amici e pornoprofessoresse, magari varrà la pena riprendere e valutare a modino una proposta che fece Andrea Martines qualche tempo fa, caduta quasi nel vuoto. E sì, che facendo le cose a modino, ci sarebbe ben da divertirsi.

E allora non rimangono che le prove di forza. Vi sono alcuni movimenti in corso, e svariate persone preoccupate e appassionate si stanno attrezzando per sollevare il caso. Nel frattempo, se vi sembra che turiscalabria ecco, proprio no, non va, date una mano e parlate della cosa, che male non fa.

[Credits: ringrazio per gli scambi di informazioni e per i loro scritti, che ho saccheggiato, Antonio Capria, del quotidiano calabrese ildomanionline.it, e Francesco Aprile di MPB]

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