British Telecom non ha inventato i link

Un giudice federale statunitense ha rigettato la richiesta dell'ex monopolista di telefonia britannico di vedersi attribuito il diritto di sfruttare commercialmente la tecnologia degli hyperlink. Sollievo nella comunità Internet.
Un giudice federale statunitense ha rigettato la richiesta dell'ex monopolista di telefonia britannico di vedersi attribuito il diritto di sfruttare commercialmente la tecnologia degli hyperlink. Sollievo nella comunità Internet.

Si è concluso con un parere negativo della corte il processo
nel quale British Telecom, l’ex monopolista
di telefonia del Regno Unito, rivendicava la paternità degli hyperlink.
Come avevamo raccontato in un precedente
articolo
, BT aveva ritrovato nei propri archivi un documento risalente al
1976 nel quale si brevettava un «sistema di gestione dell’informazione nel
quale questa è presa da un computer in un punto remoto e trasmessa tramite le
linee telefoniche ad un terminale». Un collegamento ipertestuale, appunto; la
tecnologia alla base del Web.

Per far valere i propri presunti diritti, BT aveva
cominciato col chiamare in giudizio Prodigy,
uno dei primi Internet Service Provider, accusandola di aver violato il brevetto

del 1976, noto anche come “Sargent patent”. Con una sentenza emessa giovedì,
una Corte distrettuale di New York ha stabilito che l’utilizzo dei link da
parte di Prodigy non costituisce una violazione di alcun brevetto.
«Contrariamente a quanto BT vorrebbe farci credere, non ci sono contestazioni
da fare in questo caso», ha dichiarato il giudice Colleen McMahon. «Trovo che
dal punto di vista legale, nessuna giuria potrebbe ritenere che Prodigy violi
il Sargent patent».

Michael Wandley, portavoce di BT, ha dichiarato all’agenzia Reuters che la compagnia sta studiando la
sentenza e non ha ancora deciso se ricorrere in appello. «Siamo
dispiaciuti, ma stiamo prendendo in considerazione varie opzioni». Dal canto
suo Larry Meyer, portavoce di Prodigy, si è detto felice della decisione del
giudice: «Ha confermato la nostra posizione, ovvero che tali reclami fossero senza
merito
. Speriamo che questo tolga di mezzo anche gli altri procedimenti».

L’offensiva di BT era rivolta infatti contro una ventina di
ISP statunitensi e voleva essere soltanto un test per vagliare la possibilità
di trasformare il brevetto in una florida attività commerciale. «Ci
aspettiamo che gli ISP facciano la cosa giusta e chiedano una licenza per
l’utilizzo della nostra proprietà intellettuale», avevano dichiarato quelli di
BT rendendo pubblica la loro decisione. «Vogliamo un compenso
ragionevole».

L’iniziativa dell’ex monopolista britannico aveva provocato
una levata di scudi da parte dell’intera comunità Internet, che l’aveva vista
come una minaccia non solo per la libertà, ma per l’esistenza stessa
della Rete. Programmatori ed esperti avevano sottolineato come ci fossero tutta
una serie di tecnologie precedenti senza le quali la tecnologia
brevettata da BT non sarebbe mai esistita. «Chiunque riuscisse ad ottenere un
brevetto del genere potrebbe tenere il mondo intero sotto ricatto», aveva
dichiarato Andries van Dam, inventore nel 1967 con Ted Nelson dell’Hypertext Editing
System. «Tutta questa nuova faccenda dei brevetti è folle e controproducente»,
aveva aggiunto Bob Bemer, programmatore
che fin dagli anni Cinquanta aveva lavorato alle tecnologie sulle quali si
sarebbe basato il Web.

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