Google: traffic acquisition costs per 19 miliardi

Portare gli utenti sul proprio motore di ricerca e sui propri servizi ha un costo: Google lo sa bene, considerando la cifra messa in campo ogni anno.
Google: traffic acquisition costs per 19 miliardi
Portare gli utenti sul proprio motore di ricerca e sui propri servizi ha un costo: Google lo sa bene, considerando la cifra messa in campo ogni anno.

L’attività di Google è senza alcun dubbio in salute, progressivamente in crescita grazie a introiti che derivano in gran parte dalla vendita di inserzioni pubblicitarie. L’advertising online ha sempre rappresentato il core business del gruppo di Mountain View, fin da quando la società operava esclusivamente come motore di ricerca. Le cose non sono cambiate, nemmeno in seguito alla riorganizzazione passata per la nascita della parent company Alphabet.

C’è però un dettaglio, tutt’altro che piccolo e trascurabile, che riguarda le modalità con le quali bigG genera i suoi profitti: per mostrare le pubblicità che andranno poi a tramutarsi in guadagno, è necessario portare gli utenti sulle proprie pagine. Questo accade anche grazie a partnership siglate con realtà di terze parti, ad esempio i produttori di dispositivi mobile che a fronte di un compenso scelgono di preinstallare Google come motore di ricerca predefinito e le altre applicazioni del gruppo. Ovviamente, questo ha un costo: la spesa sostenuta dal colosso di Mountain View ogni anno per questa finalità ammonta complessivamente a 19 miliardi di dollari, comprensiva dei corrispettivi riconosciuti ai siti Web che ospitano le inserzioni del suo circuito pubblicitario. Sono i cosiddetti traffic acquisition costs.

Una cifra importante, che stando alle previsioni degli analisti nel 2017 andrà a costituire l’11% circa degli introiti complessivi, una percentuale in crescita rispetto al 7% del 2012. Il trend potrebbe (utilizzare il condizionale è d’obbligo) proseguire anche nei prossimi anni, soprattutto se in Europa l’autorità antitrust si pronuncerà sul caso Android andando a modificare le dinamiche che regolano i rapporti tra bigG e i produttori di smartphone.

Tra le aziende che ricevono un compenso per porre i servizi di Google all’attenzione dei loro utenti c’è anche Apple. Sebbene i termini dell’accordo rimangano segreti, si parla di una somma monstre: dai 3 ai 4 miliardi di dollari ogni anno, per far sì che le ricerche effettuate su iOS, macOS e Safari vengano indirizzate sul motore di ricerca di Mountain View anziché verso un servizio della concorrenza. Complessivamente, considerando anche gli altri partner, si arriva a 7,2 miliardi di dollari.

Non risulta dunque difficile capire perché bigG abbia scelto di puntare sulla produzione e sulla vendita diretta di hardware, come accade ad esempio con i dispositivi della linea Pixel, mettendo in campo anche investimenti importanti come quello destinato all’acquisizione di una parte di HTC. Una strategia che, però, per dare i suoi frutti richiederà necessariamente del tempo.

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