Il Garante contro lo spam

L’Autorità guidata da Stefano Rodotà accoglie parzialmente il ricorso di un utente e condanna lo spammer ad un risarcimento di 250 euro. Ancora una volta si ribadisce che gli indirizzi pubblicati su Internet non possono essere raccolti per fini pubblicitari.
L’Autorità guidata da Stefano Rodotà accoglie parzialmente il ricorso di un utente e condanna lo spammer ad un risarcimento di 250 euro. Ancora una volta si ribadisce che gli indirizzi pubblicati su Internet non possono essere raccolti per fini pubblicitari.



Il Garante per la
privacy
torna a deliberare sullo spam: a più di un anno dai provvedimenti
riguardanti le e-mail elettorali della Lista Bonino, l’autorità guidata da
Stefano Rodotà si è espressa a favore di un navigatore della provincia di
Milano le cui richieste di chiarimenti su alcune mail indesiderate erano
state ignorate dalla società responsabile dello spam.

Il 22 gennaio, Massimo Cavazzini riceve una e-mail
pubblicitaria riguardante un servizio di hosting. Alla fine della mail è
presente la formula di rito: «Se non volete riceve più informazioni rispondete
scrivendo nell’oggetto dell’ Email RIMUOVI». Come racconta sul suo sito web, il signor Cavazzini risponde
invece chiedendo di conoscere la provenienza del suo indirizzo e-mail.
La società gli dice di averlo acquistato da una lista di indirizzi presa su
Internet.

Con provvedimento dell’11 gennaio 2001, il Garante per la
privacy ha
chiarito
che non è «corretto
raccogliere indirizzi e generalità che i singoli utenti lasciano in un newsgroup,
forum etc. solo per scopi di discussione su determinati temi ed utilizzarli per
altri fini
che non hanno nulla a che vedere, neanche indirettamente, con
l’argomento per il quale l’utente partecipa ad una discussione più o meno
pubblica. Stesso discorso vale per gli indirizzi di posta elettronica
pubblicati su alcuni siti web per specifici fini di informazione aziendale,
comunicazione commerciale o attività istituzionale ed associativa.»

Il fatto che l’indirizzo del signor Cavazzini fosse presente
su vari siti, newsgroup e forum è quindi del tutto irrilevante. Dal momento che
lo spammer risponde alle sue richieste dichiarando di non voler «scendere a
nessun tipo di compromessi», Cavazzini avvia il ricorso presso il
Garante. Con sentenza del 26 marzo, l’Autorità ha parzialmente accolto il
ricorso, con questi risultati:

  • lo
    spammer è stato obbligato, non solo a rimuovere dalle proprie liste
    l’indirizzo incriminato e tutti i dati relativi al suo possessore, ma
    anche ad astenersi da ogni futuro trattamento di questi dati senza
    espresso consenso scritto dell’interessato

  • lo
    spammer ha dovuto rivelare il nome di chi gli ha fornito gli elenchi.
    Nella fattispecie si tratterebbe di Labels Internet Services, una società
    che nel proprio sito dichiara di possedere oltre 20 milioni di indirizzi
    privati, comprensivi di «Nome e cognome,indirizzo,numeri telefonici (e
    numero di fax per chi lo ha dichiarato)» e di venderli a 0,015 euro più
    IVA l’uno

  • vista
    la sua reticenza nei confronti delle richieste del signor Cavazzini, lo
    spammer è stato condannato a versargli 250 euro a titolo di
    risarcimento per la presentazione del ricorso

Il risarcimento, probabilmente, copre appena le spese
(materiali e in termini di tempo) affrontate dal ricorrente. Può trattarsi
comunque di un notevole deterrente nei confronti degli spammer: se ogni
potenziale vittima ricorresse all’autorità competente, le perdite per le
aziende dovrebbero calcolarsi nell’ordine delle decine di milioni di euro.

Il Garante si è inoltre riservato di valutare i «presupposti
per l’applicazione di eventuali sanzioni […] nell’ambito di un
provvedimento autonomo che sarà avviato d’ufficio». Non sono escluse, quindi,
ulteriori soprese. [Abbì].

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