Jimmy Iovine spiega perché ha lasciato Apple Music

Jimmy Iovine ha spiegato le ragioni che l'hanno spinto a lasciare Apple Music nel 2018, inoltre si esprime sullo streaming musicale nel suo complesso.
Jimmy Iovine ha spiegato le ragioni che l'hanno spinto a lasciare Apple Music nel 2018, inoltre si esprime sullo streaming musicale nel suo complesso.

Jimmy Iovine, uno dei fondatori di Beats, spiega perché abbia deciso di lasciare Apple Music nel 2018, a quattro anni dall’acquisizione della sua azienda da parte del gruppo di Cupertino. L’occasione è un’intervista per il New York Times, dove il produttore musicale ha espresso la propria visione sul mercato dello streaming attuale, nonché sull’industria discografica nel suo complesso.

Così come già accennato, Iovine è entrato a far parte nel 2014 della mela morsicata, dopo l’acquisizione milionaria di Beats da parte di Apple. Il produttore si è immediatamente concentrato sullo sviluppo di Apple Music, la piattaforma di streaming musicale lanciata dall’azienda nel 2015, approfittando della sua esperienza: è proprio grazie al know how di persone come Iovine, infatti, che il servizio ha potuto approfittare di numerose esclusive con gli artisti e di sistemi di suggerimento di nuova musica basati su consulenti umani, anziché sul ricorso ad algoritmi.

Nonostante Apple Music abbia rappresentato una scommessa vinta per il gruppo di Cupertino, al culmine del successo della piattaforma l’esperto ha deciso di abbandonare il suo ruolo. Non per una questione legata all’eccessivo impatto della tecnologia sulla musica – Iovine sostiene da sempre che la risposta dell’industria a servizi come Napster e simili sia stata errata – bensì per il venir meno di una spinta personale:

Il mio arrivo in Apple ha rappresentato per me un nuovo problema creativo. Come creiamo il futuro dell’industria musicale? Come lo rendiamo fuori dall’ordinario? Ma ho perso spinta personale.

Il produttore ha spiegato come i servizi di streaming musicale, a differenza di quelli video, presentino un problema di costi e scalabilità. Mentre piattaforme come Netflix e affini possono approfittare di produzioni originali e di una riduzione dei costi all’aumento degli abbonati, per i servizi musicali i costi tendono in realtà sempre a crescere, perché non vi è una vera differenziazione tra una proposta e l’altra. Tutti i servizi di streaming presentano infatti il medesimo catalogo e, per attirare l’utenza, è necessario puntare su altri fronti, così come ha fatto Spotify con il recente interesse sui podcast.

I servizi di streaming musicale sono come mere utenze, sono tutti identici. Guardate cosa accade nei video. Disney ha solo produzioni originali, Netflix ha moltissime produzioni originali. Ma i servizi di streaming musicale sono tutti uguali e questo è un problema.

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