Addio al parity rate: uno schiaffo alle OTA

Voto favorevole alla Camera per l'emendamento che cancella la clausola sui prezzi che legava gli albergatori coi portali di prenotazione: che effetto avrà?
Voto favorevole alla Camera per l'emendamento che cancella la clausola sui prezzi che legava gli albergatori coi portali di prenotazione: che effetto avrà?

Ieri la Camera ha approvato con 434 voti favorevoli e 4 contrari un emendamento aggiuntivo a un articolo della legge annuale sulla Concorrenza che cancella una delle più clausole più discusse di tutto il settore del turismo digitale: il parity rate. L'”emendamento Booking”, come è stato definito citando l’OTA (online travel agency) più famosa, dichiara nullo ogni patto sottoscritto dagli albergatori che impediva loro di praticare sul proprio sito prezzi migliorativi rispetto a quelli presenti sulle piattaforme. Una decisione che punta dritto al cuore di un mercato miliardario.

Fino ad oggi il sistema delle piattaforme di prenotazione online era basato su un contratto di scambio: la piattaforma consentiva alla struttura ricettiva una vetrina potenzialmente infinita, l’imprenditore accettava la logica per cui non poteva boicottare i prezzi online di terze parti, gestiti da meccanismi algoritmici molto sofisticati e costosi, pubblicando prezzi inferiori su qualunque altro sito. I detrattori hanno sempre criticato questo contratto perché senza il pricing di fatto non esiste più l’imprenditore, mentre la clausola viene vista favorevolmente da chi guarda i volumi di affari cresciuti con l’ingresso delle Ota nel mercato, dove il pricing è sostitutivo di una possibile commissione (fee) che sarebbe certamente più costosa.

L’idea di annullare questa clausola aveva già fatto capolino mesi fa, ma era stata bocciata dal governo, che pure l’aveva inserita nella prima bozza del decreto Art bonus. Ripresentata ieri dal deputato Tiziano Arlotti (PD), è stata votata a larghissima maggioranza, trasversale, da tutto il gruppo democratico e anche da Sc, PI, Forza Italia, Sel, Al. Il testo è molto breve e nella sua semplicità terribilmente efficace. Diventasse legge in Gazzetta, aprirebbe una pagina nuova.

ART. 32. 1. (Nullità delle clausole contrattuali che vietano alle imprese ricettive di offrire prezzi e condizioni migliori rispetto a quelli praticati da piattaforme di distribuzione online).
1. È nullo ogni patto con il quale l’impresa turistico-ricettiva si obbliga a non praticare alla clientela finale, con qualsiasi modalità e qualsiasi strumento, prezzi, termini e ogni altra condizione che siano migliorativi rispetto a quelli praticati dalla stessa impresa per il tramite di soggetti terzi, indipendentemente dalla legge regolatrice del contratto.

Il deputato che ha portato avanti da solo l’idea dopo il passaggio a vuoto in commissione, ha commentato in un post la sua vittoria in aula, in attesa che anche il Senato approvi il testo in seconda battuta:

Ho sempre considerato questi vincoli contrattuali alla stregua di un incontro pugilistico, dove salivano sul ring un peso massimo contro un peso leggero. Ma questi vincoli rappresentano anche un limite alla concorrenza e al prezzo finale che viene applicato al turista. Mediamente la commissione delle grandi piattaforme si aggira attorno al 20%. Quindi un onere che grava sull’albergatore e sul cliente. (…) Avere riconosciuto una regola valida per tutti gli operatori che stabilisce il diritto di determinare liberamente le condizioni di offerta dei propri servizi senza alcun vincolo di accordo o tariffa rappresenta l’essenza della libertà imprenditoriale, che sicuramente si riverserà positivamente sull’impresa ricettiva.

I pareri favorevoli

Il concetto è praticamente piaciuto a tutti, quando invece a palazzo Chigi non aveva scaldato gli animi. Più sensibile alla lobbying, oppure più preoccupato della crescita del settore, spinto dalle piattaforme multinazionali? Il turismo digitale vale oggi il 20% del mercato complessivo. Seguendo la discussione si capisce come sia molto diffuso il parere che le piattaforme abbiano imposto una commissione mascherata e che l’abitudine di controllare il prezzo online e poi chiamare l’albergatore per strappare un prezzo migliore era così consolidato che aveva creato un assurdo clima di terrore, con controlli fisici e matematici da parte delle web company. Cancellare il parity rate significa portare tutto alla luce del sole. Anche nel governo era infine maturata questa opinione.

Il plauso di Franceschini

«Ora che Francia e Italia hanno scelto la strada del divieto della clausola del parity rate», ha dichiarato il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, «anche i colossi globali dell’offerta alberghiera online non potranno che tenere conto della scelta di due paesi che insieme rappresentano il più grande mercato mondiale del turismo. Grazie al Parlamento per questa scelta unanime coraggiosa che il settore alberghiero italiano attendeva da tempo». Il ministro Franceschini ha sempre spinto per una regola valida per tutti gli operatori, offline e online, in modo analogo a quanto avvenuto in Francia con la così detta legge Macron approvata dall’Assemblea Nazionale lo scorso 10 luglio, che ha introdotto nel Codice del turismo un apposito articolo di disciplina dei rapporti tra piattaforme di prenotazione e albergatori.

Intervista a Tiziano Arlotti: Non chiamatela legge anti Booking

L’eroe degli albergatori oggi è lui, Tiziano Arlotti, un riminese che conosce bene il settore turistico, e il suo elettorato. La sua visione potrebbe essere definita da insourcer, cioè fiducioso della digitalizzazione delle strutture ricettive italiane.

Cosa rispondere all’avvocato del diavolo che fa notare come questo emendamento potrebbe portare a un trust di OTA che potrebbero alzare la commissione per compensare la perdita della clausola sui prezzi?

Che gli albergatori non sono masochisti. Già oggi le commissioni possono arrivare al 20% e dico di più: meglio non sottovalutare il credit tax sulla digitalizzazione per le strutture ricettive. Un albergatore può ricevere fino a 12.500 euro se ne spende 44.000 per questo investimento.

In pratica lei sostiene che è possibile una via autonoma alla vetrina digitale del turismo italiano? Eppure i numeri sono bassi: l’Italia non è un paese digitalizzato, neppure in questo ambito.

Vedo molta positività nel settore, nascono consorzi di centinaia di albergatori per entrare in questo mondo. E nulla vieta far convivere la propria vetrina online con quella delle piattaforme. Anzi, vorrei che non si citasse Booking, l’emendamento non è mai stato scritto per questo, riguarda tutti, piccoli e grandi. E c’è stato un dibattito via via maturato, anche grazie ai garanti europei per la concorrenza. Vorrei inoltre far notare che l’Italia è il paese europeo con la più grande destinazione turistica eppure non c’è una sola piattaforma nata qui.

Che effetti si attende?

La legge sulla Concorrenza è annuale, questo è un tentativo, una strada diversa. A differenza di altri non pretendo di avere la verità in tasca, vedremo che succederà e l’anno prossimo si potrà eventualmente lavorare su altro, con le stesse finalità. Gli argomenti non mancano.

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