Google mette al bando la Mozilla Public License

Google ha escluso la Mozilla Public License dalla lista degli invitati al suo Google Code, il tutto in nome della limitazione delle licenze open source. Ma come accaduto in passato anche questa volta sembrano esserci motivazioni nascoste e poco chiare
Google ha escluso la Mozilla Public License dalla lista degli invitati al suo Google Code, il tutto in nome della limitazione delle licenze open source. Ma come accaduto in passato anche questa volta sembrano esserci motivazioni nascoste e poco chiare

Un’altra licenza è stata bandita da Google Code, il popolare servizio di hosting per il software open source. Questa volta a essere tranciata dalla scure di Mountain View è la Mozilla Public License, una delle licenze con cui è rilasciato anche il codice sorgente di Firefox. La ragione ufficiale è la stessa dei casi precedenti: occorre limitare la proliferazione di troppe licenze open source cercando piuttosto di concentrarsi su un ristretto gruppo di licenze più popolari.

I progetti che utilizzano la MPL e che sono già ospitati da Google Code non verranno fatti sloggiare, ma il divieto verrà applicato solo ai nuovi progetti che proprio da Google sono gentilmente invitati a scegliere un altro servizio di hosting, come SourceForge.net o Savannah. È comunque prevedibile che anche alcuni dei progetti già ospitati decidano di lasciare Google Code per evitare eventuali ulteriori restrizioni future.

L’esclusione della MPL segue di qualche mese la messa al bando della licenza Affero (AGPL), un’esclusione di cui abbiamo avuto modo parlare in precedenza. Anche in quel caso la motivazione ufficiale addotta da Google fu l’eccessiva proliferazione di licenze, anche se non fu difficile notare come i dettami della AGPL fossero particolarmente in contrasto con gli interessi del gigante fondato da Brin e Page. Questa volta le eventuali motivazioni sottintese potrebbero essere diverse e forse più nobili. La MPL è stata spesso criticata per la facilità con cui si presta a diventare base per licenze di tipo Badgeware, ovvero licenze con ulteriori restrizioni che, ad esempio costringendo gli utilizzatori a mostrare sempre e comunque i credits degli autori originali, spingono la licenza oltre i confini entro cui è possibile parlare di open source.

Un’ulteriore motivazione, neanche troppo sottintesa, potrebbe essere la mancata previsione da parte della licenza di eventuali problemi legati alla proprietà intellettuale e ai brevetti. A suggerirlo è Chris DiBona, direttore del settore Programmi Open Source presso Google: «Molte licenze open source non hanno nulla da dire di specifico su brevetti e marchi di fabbrica», che è poi anche «il motivo per cui la licenza Apache è la licenza predefinita per i progetti di Google» (la licenza Apache permette l’integrazione di sorgenti aperti e chiusi senza quegli effetti virali che potrebbero costringere un’azienda a svelare il proprio codice).

L’intento di limitare la proliferazione delle licenze legate al codice aperto rischia di portare con sé uno spiacevole effetto collaterale. La lista degli invitati comprende solo le licenze già esistenti, mentre eventuali licenze future che dovessero rivelarsi migliori di quelle attuali non sarebbero considerate appetibili dagli sviluppatori proprio per la loro esclusione a priori. Con la capitolazione della MPL il numero delle licenze ammesse da Google Code scende a sette: oltre alla Apache e alle due versioni della GPL, gli sviluppatori possono scegliere la Artistic License, le licenze MIT e BSD, e la Less General Public License.

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