L'equo compenso cambia: l'esempio di Londra

Il compenso per copia privata in Italia segue l'Europa? Falso. A Londra pensano a una legge completamente diversa, per calmierare i prezzi.
Il compenso per copia privata in Italia segue l'Europa? Falso. A Londra pensano a una legge completamente diversa, per calmierare i prezzi.

Il Regno Unito si sta dotando di una nuova legge sul diritto d’autore che cambia anche il concetto di equo compenso per copia privata. La direzione è opposta a quella italiana: qui si alzano i prezzi dei device, a Londra si consente ai consumatori di effettuare copie digitali senza colpevolizzarli e senza ledere i produttori.

Un’alternativa al modello Siae imposto in Italia dal decreto Franceschini è dunque possibile? Sembra proprio di sì, se persino nel governo conservatore inglese si sta ragionando su una nuova legge – che dovrà essere approvata in Ottobre – appositamente scritta per affrontare l’esplosione dei contenuti digitali nell’always-on e quindi nel cloud-storage. Gli obiettivi della legge, secondo la proponente Lucy Neville-Rolfe, sono due:

La nuova legge mira a supportare l’uso ragionevole di materiali protetti da copyright, e stabilire che non c’è bisogno di fornire un indennizzo dove un’eccezione può causare minimo o nessun danno, o se il pagamento è già stato fatto.

La proposta di legge inglese ha subito raccolto il plauso di DigitalEurope, l’associazione che raggruppa le industrie digitali del continente, che trova finalmente una sponda politica alla sua visione secondo la quale bisogna aggiornare le leggi alle nuove abitudini dei consumatori. Così ha commentato John Higgins, direttore generale dell’associazione:

Ci congratuliamo con il governo britannico per questa legislazione esemplare che fissa il punto di riferimento per l’Europa in futuro. In un momento in cui l’Unione Europea è impegnata nella creazione di un vero mercato unico digitale per la crescita e l’occupazione, l’attuazione delle riforme sul diritto d’autore apre nuove opportunità per artisti, consumatori e industrie digitali, un passo in avanti decisivo.

Intanto, in Italia…

In Italia, per il momento, la discussione è ferma alla Siae che acquista – coi soldi che riceve dall’equo compenso – iPhone a prezzi inferiori in un’assurda lotta contro il costruttore, mentre l’aumento dei prezzi di Samsung manda a catafascio la teoria che vorrebbe l’azienda di Cupertino individualmente responsabile.


D’altra parte era già stato ampiamente denunciato da Claudio Lamperti, vicepresidente ANITEC, l’associazione confindustriale che raccoglie i produttori di ICT ed elettronica di consumo. In un comunicato spiegava per filo e per segno la dinamica del costo dell’equo compenso per copia privata:

Un aumento complessivo di oltre il 150% dell’equo compenso comporta chiaramente un impatto sui prezzi e a questo punto non è più sufficiente ritornare alle percentuali del vecchio Decreto Bondi, ma è necessario rivedere radicalmente una disciplina che colpisce la tecnologia per un danno potenziale alla cultura, quando invece la partnership fra industria culturale e high tech è assolutamente virtuosa per sua natura. Un decreto che prevede un gettito superiore di 2,5 volte quello del 2013 rappresenta un aumento ingiustificato, che non tiene conto delle mutate abitudini dei consumatori, né dell’evoluzione delle tecnologie e ci disallinea rispetto all’Europa. (…) Secondo il Rapporto sulla copia privata presentato dalla eurodeputata francese Françoise Castex all’inizio di quest’anno il gettito 2012 dei compensi per copia privata ha raggiunto in Europa la cifra di 600 milioni di euro. Con il nuovo decreto il gettito il corrisposto dall’Italia sarebbe pari al 23% della raccolta complessiva europea. I dati dell’ultimo bilancio certificato Siae sono inequivocabili: su un gettito totale per diritto d’autore pari a 600 milioni di euro, la parte derivante dai contributi per equo compenso viene dichiarata in 72 milioni: ben il 12%. Con le tariffe annunciate, a parità di gettito non dovuto per compenso per copia privata, la raccolta complessiva sarebbe quindi pari a 688 milioni, di cui 160 dovuti a raccolta per equo compenso rappresentando cosi il 23%. Di conseguenza non si può ritenerlo più un compenso ma un sussidio da un’industria all’altra.

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