Tribunale di Roma: l'IP non basta per "incriminare" i navigatori che scaricano file illegali

Importante sentenza del Tribunale di Roma che, chiamato a dirimere la questione relativa alle accuse mosse da alcuni rappresentanti dell’industria discografica verso una signora romana, ha deciso che non è sufficiente conoscere l’indirizzo IP di un utente per identificare con certezza chi sia stato a commettere un eventuale atto illecito inerente lo scaricamento di materiale protetto.

Una sentenza che, è bene precisarlo, è limitata al caso in questione e non ha quindi carattere generico, ma ciò che è importante è che la Corte, in questo caso, sembra aver usato una certa dose di “senso di responsabilità”, evitando di procedere “alla leggera”, come invece spesso capita in casi in cui si tratta, nelle aule giudiziarie, di filesharing e simili.

La Corte romana ha quindi dato rilievo al fatto che essere titolari di una connessione Internet, per mezzo di cui si è scaricato o condiviso materiale illegale, non implica automaticamente che la responsabilità penale di tale comportamento sia a proprio carico.

In altre parole, il fatto illecito può benissimo essere commesso da altri soggetti che usano la stessa connessione, facendo così cadere il principio indiscutibile che la “responsabilità penale è personale”, così come sancito dal Principio di Colpevolezza previsto dall’Art. 27.1 della nostra Costituzione. In tal modo si giustifica l’archiviazione decisa dai giudici della Capitale.

Un riassunto della vicenda e dei suoi risvolti legali lo dà l’avvocato Guido Scorza, Docente di Diritto Informatico:

È un precedente, il primo così esplicito in Italia riguardo al copyright. Non significa che tutti i giudici si esprimeranno allo stesso modo, ma passa un concetto di buonsenso che fra coloro che lavorano con Internet e le sue caratteristiche tecniche è ampiamente condiviso e ovvio. Pochissime, meno di 100 credo, le condanne per filesharing in Italia dal 2003 a oggi, e quasi tutte a carico di grandi condivisori, di solito i pirati veri, quelli che poi vanno a vendere i CD.

Una sentenza che potrebbe servire da precedente per altre eventuali cause e che, a prescindere dal singolo caso in oggetto, sembra proprio essere a salvaguardia dei diritti degli utenti del Web.

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