L'eco minimal del Salone Satellite

Poca domotica e molto green negli stand dedicati ai nuovi designer. Tra gli istituti vincono ancora gli italiani, forte presenza di orientali.
Poca domotica e molto green negli stand dedicati ai nuovi designer. Tra gli istituti vincono ancora gli italiani, forte presenza di orientali.

Materiali vegetali riciclati, illuminotecnica basata su semplici leggi della fisica, versatilità assoluta degli oggetti, design minimale. Il Salone Satellite è certamente la parte più sperimentale, avveniristica, del Salone di Milano, ma se qualcuno cercasse l’high tech o la domotica resterebbe a bocca asciutta. I designer più promettenti del futuro quasi si rifiutano di consumare energia.

Nei due padiglioni 13-15 del Salone Satellite si incontrano i 605 giovani provenienti da 32 paesi che in questa edizione sono ospiti graditi degli spazi della Fiera, accanto alle botteghe dell’artigianato dedicate alle ceramica, alla pelle e al tessile. Un accostamento voluto, tra design e artigianato, che ha rafforzato la sensazione che se la stampa digitale ha certamente molto spazio nelle applicazioni future l’attenzione ai materiali naturali ne ha ancora di più.

Molte proposte viste al Salone Satellite sono più orientate al ritorno alle cose semplici piuttosto che alla tecnologia. In queste immagini si vedono lampade a fungo con led a basso consumo, strumenti di arredo in rame, una tettoia-fioriera, una stecca di marmo tagliata con la tecnica del legno, un mobiletto modulare di rete metallica senza viti e parti mobili.

Molte proposte viste al Salone Satellite sono più orientate al ritorno alle cose semplici piuttosto che alla tecnologia. In queste immagini si vedono lampade a fungo con led a basso consumo, strumenti di arredo in rame, una tettoia-fioriera, una stecca di marmo tagliata con la tecnica del legno, un mobiletto modulare di rete metallica senza viti e parti mobili.

Nulla di nuovo sotto il cielo del design più spinto: gli orientali la fanno da padrone, così come i nord europei sono eccezionali nella loro capacità di usare il legno e i led a basso consumo. L’italianità si è avvertita molto nella presenza di ben cinque istituti sui 17 partner questa sezione: i poli formativi, le università, le scuole di antica tradizione, producono ancora oggi designer e cultura del design, insieme a colleghi prestigiosi come il Koln Institute, il Graz, la “Pierre Vernotte”.

Camminando tra i 102 stand del salone (o sfogliando il catalogo), ci si accorge subito però di una certa difficoltà nel cambio di passo tecnologico. Questo elemento, notato in genere in tutta la manifestazione milanese, è piuttosto evidente se si considera appunto la giovane età dei designer. Molto concreta la storia di Giorgio Traverso, architetto genovese appassionato di strutture interconnesse cubiche. Il suo dynamicube, una lampada composta da otto cubi luminosi oppure da otto superfici, che può assumere qualunque posizione, è composto da skin wood e led su intelaiatura di alluminio. Un oggetto molto accattivante, ma anche costoso:

Di fatto i miei sono prototipi, perché i led costano ancora molto, così come spesso è necessario far produrre all’estero certi tipi di materiali plastici. La produzione in serie quindi al momento è ardua, ma io tenevo a far conoscere l’idea.

Non mancano neppure altre idee interessanti, come la lampada atmosferica di Arturo Erbsman, che sfrutta la naturale condensazione del vapore acqueo per diffondere la luce. Luce che è un vero puntiglio per questa generazione: distribuita a muro senza materiali di supporto, diffusa con un rubinetto come fosse una doccia, prodotto con l’organic led (oled) come fa Andy Zhou, che ha realizzato un telaio ultraleggero regolabile tramite BlueTooth.

A sinistra, Giorgio Traverso e i suoi cubi luminosi scomponibili e piegabili (giorgiotraverso.com). A destra: Atmos, le lampade atmosferiche del designer francese Arturo Erbsman (.arturoerbsman.com).

A sinistra, Giorgio Traverso e i suoi cubi luminosi scomponibili e piegabili (giorgiotraverso.com). A destra: Atmos, le lampade atmosferiche del designer francese Arturo Erbsman (arturoerbsman.com).

FabLab e il bisogno di hackerare

Per dirla tutta, entrare nella piccola bottega digitale di FabLab Milano, ospite nel Salone Satellite, è come una boccata di ossigeno nerd: schede Arduino, stampanti laser e 3D, computer, cavi, una gran voglia di mettere alla prova le tecniche di costruzione degli oggetti fino alle estreme conseguenze. Francesco Colorni mette in mostra il suo mac inciso col laser con una semplice stampante, mentre gli altri ragazzi stanno lavorando a piccoli robot, strutture led dal costo inferiore di dieci volte a quello di mercato, e promuovono le piccole e grandi idee di giovani universitari, come Edges (di cui si parlerà), una protesi-struttura stampata in polveridi plastica per sostenere gli arti. Realizzata con il Kinect e un software di elaborazione ideato da due studenti del Politecnico di Milano.

La stampante 3D necessaria per questo tipo di oggetto deve essere fatta in Olanda e la macchina costa 70 mila euro. L’anno prossimo ne arriverà una in Italia con le stesse caratteristiche e costerà soltanto cinque mila euro. Siamo vicini a un’altra rivoluzione tecnica.

Anche FabLab si è guardato attorno in questo Salone arrivando alle medesime conclusioni:

C’è bisogno di hackerare il concetto di mobile. FabLab presto avrà a disposizione una cucina di alto livello che noi proveremo a modificare, inserendo tutto quanto ci verrà in mente.

Francesco Colorni, di FabLab. Al Salone Satellite ha annunciato l'intenzione di "hackerare" una cucina per superare gli attuali confini della domotica.

Francesco Colorni, di FabLab. Al Salone Satellite ha annunciato l’intenzione di “hackerare” una cucina per superare gli attuali confini della domotica.

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