Il lato oscuro di Google

The dark side of Google è un libro che va quantomeno controtendenza e si pone l'obiettivo di indagare più a fondo le dinamiche proprie del motore di ricerca di Mountain View. Quel che ne risulta è che anche il mito di Google possa essere demonizzato
The dark side of Google è un libro che va quantomeno controtendenza e si pone l'obiettivo di indagare più a fondo le dinamiche proprie del motore di ricerca di Mountain View. Quel che ne risulta è che anche il mito di Google possa essere demonizzato

Uscirà entro l’anno e, se non altro per la posizione controcorrente intrapresa, merita fin da ora le dovute attenzioni. Occupando un punto di vista critico e (almeno da dichiarazione di intenti) oggettivo, il prossimo ‘The dark side of Google‘ propone infatti di guardare il motore di ricerca tentando di non rimanere accecati dal numero di elogi di cui è stato rivestito in questi anni e provando a completare una disanima più concreta in grado di contemplare anche le debolezze ed i “non-detto” relativi al motore.

Ne scaturisce un prodotto che fin dalle presentazioni formali ha raccolto meritata attenzione. Così si presenta il volume, edito Feltrinelli, per l’hackmeeting di Parma (HackIt06):

«Criticare Google attraverso una disamina della sua storia, la decostruzione degli oggetti matematici che lo compongono, il disvelamento della cultura che incarna significa per noi muovere un attacco alla tecnocrazia. Google si è affermato negli ultimi anni come uno dei principali punti di accesso alla rete di internet, ci siamo adattati progressivamente alla sua interfaccia sobria e rassicurante, alle inserzioni pubblicitarie defilate e onnipresenti; abbiamo adottato i suoi servizi e l’abitudine al suo utilizzo si è trasformata oramai in comportamento: “Se non lo sai, chiedilo a Google”. Google ha saputo sfruttare magistralemente il nostro bisogno di semplicità. Eppure ci troviamo di fronte a un colosso, un sistema incredibilmente pervasivo di gestione delle conoscenze composto da strategie di marketing aggressivo e oculata gestione della propria immagine, propagazione di interfacce altamente configurabili e tuttavia implacabilmente riconoscibili, cooptazione di metodologie di sviluppo del Free Software, utilizzo di futuribili sistemi di raccolta e stoccaggio dati. Il campo bianco di Google in cui inseriamo le parole chiave per le nostre ricerche è una porta stretta, un filtro niente affatto trasparente che controlla e indirizza l’accesso alle informazioni. In quanto mediatore informazionale si fa strumento di gestione del sapere e si trova quindi in grado di esercitare un potere enorme, diventando espressione diretta della tecnocrazia».

Il sito ippolita.net (la community da cui trae linfa “The dark side of Google”) non è temporaneamente raggiungibile, ma è possibile raccogliere ulteriori dettagli sulla tesi portata avanti dal volume grazie ad un articolo curato da Riccardo Bagnato per Repubblica: «la cosa interessante e inquietante è che a Google non interessa associare le informazioni a una persona specifica. A lui non interessa che la tal cosa sia stata scritta dalla tal persona alla tal altra. Ma interessa cosa è stato scritto, e da quanti è stato scritto. Quante volte è stato usato quel tipo di email e non un altro: a lui interessa la quantità di volte che un elemento è ripetuto, non necessariamente la relazione che quell’elemento intrattiene con gli altri». Inoltre: «Google offre la possibilità di trovare fra le prime pagine dei risultati quello che l’utente medio cerca, ma non quello che io sto cercando. Il risultato è tecnologicamente impressionante, ma porta con sè l’idea che quello che cerco sia esattamente quello che Google mi offre. Non è così. Ormai non è più Google che si adegua alle mie esigenze, ma io che mi adeguo a quelle dell’utente medio».

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