Facebook risponde al senatore D'Alia

Chiudere Facebook per un gruppo opinabile? È come chiudere una rete ferroviaria a causa di un graffito in una stazione. Così Facebook spiega il proprio punto di vista relativo all'emendamento proposto da Gianpiero D'Alia al famigerato art. 50
Chiudere Facebook per un gruppo opinabile? È come chiudere una rete ferroviaria a causa di un graffito in una stazione. Così Facebook spiega il proprio punto di vista relativo all'emendamento proposto da Gianpiero D'Alia al famigerato art. 50

A distanza di pochi giorni, passati ad osservare senza controrepliche improvvisate, Facebook offre il proprio punto di vista relativo al famigerato art. 50 con cui la legge italiana si è scagliata più o meno direttamente contro il social network. Il testo del sen. Gianpiero D’Alia, va ricordato, è stato approvato come emendamento al cosiddetto Pacchetto Sicurezza e, con 30 secondi di dibattito in Senato, ha introdotto nella legislazione una norma che impone agli ISP un ruolo censorio nei confronti del Web italiano.

«Non abbiamo visto il linguaggio della legge, ma gli articoli in proposito ci preoccupano»: parola di Debbie Frost, portavoce Facebook, la quale ha ufficializzato il punto di vista dell’azienda con una email a Bloomberg. Continua la Frost: «è come se si chiudesse una intera rete ferroviaria a causa di un antipatico graffito in una sola stazione». La metafora adoperata, del tutto consona al contesto, risulta tuttavia sminuita dall’ultima intervista al senatore D’Alia, il quale ha senza mezzi termini confermato proprio tale volontà: imporre un clima severo all’ambiente così da costringere gli attori del mercato a conformarsi alla normativa.

Nell’occhio del ciclone, fin dal principio, i gruppi pro-Riina e pro-Provenzano che hanno fatto capolino su Facebook. A metà tra gioco sadico e sollazzo da buontemponi, i gruppi hanno fatto notizia portando Facebook al centro del dibattito sui media nazionali (da tempo ormai particolarmente interessati ad un fenomeno privo di precedenti per la Rete italiana). Ne è conseguito l’intervento sdegnato (e spesso strumentale) di varie fazioni politiche, fino all’ultimo emendamento che ha tentato di usare la scure sul sistema dei social network.

Facebook, tramite Debbie Frost, sembra comunque voler rassicurare D’Alia e l’intero corpus parlamentare nostrano: «Teniamo fortemente in considerazione i contenuti che incitano alla violenza e lavoreremo rapidamente per rimuoverli. Per ogni pezzo controverso portato su Facebook ci sono migliaia di interazioni positive che incoraggiano la comunicazione e il commercio».

La procedura di approvazione della legge prevede ora un passaggio presso la Camera dei Deputati. A questo stadio il Parlamento darà il proprio parere ufficiale sulla norma: nel caso in cui il testo della legge dovesse rimanere immutato si prospetterebbe una situazione difficilmente interpretabile, con la Rete pronta a levarsi compatta contro una norma che introduce formalmente la censura di stato sul Web nazionale. Più probabilmente c’è da attendersi quantomeno una revisione della norma, benché ad oggi le parole del sen. D’Alia sembrino lasciare ben poco spazio alle interpretazioni.

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