Il mercato geobloccato dei content provider

Il geo-blocking va per la maggiore nel vecchio continente: tramite il riconoscimento degli IP il sistema online è più limitativo di quello fisico.
Il geo-blocking va per la maggiore nel vecchio continente: tramite il riconoscimento degli IP il sistema online è più limitativo di quello fisico.

I primi risultati pubblicati dall’indagine della Commissione Europea sul commercio elettronico rivelano che la strada verso il digital single market è ancora lunga: molta parte (il 68%) dei fornitori di contenuti digitali ancora oggi blocca i consumatori che si trovano in altri paesi dell’Unione non contemplati dai diversi contratti di licenza. Bruxelles vorrebbe migliorare le cose.

La pratica nota come geo-blocking viene eseguita controllando gli indirizzi IP degli utenti (e altri dati) creando di fatto un database per i blocchi commerciali dei contenuti online. In questo modo tutti i fornitori, grandi e piccoli, decidono quale contenuto servire per l’utente secondo in criterio geografico. Ciò significa, per fare un esempio pratico, che quando un utente Netflix inglese o francese viaggia verso il sud del continente europeo, non può più accedere allo stesso contenuto valido invece sul suolo nazionale. Molti italiani se ne accorgono quando non riescono a utilizzare il proprio account per la pay-tv o altre piattaforme in vacanza o all’estero per lavoro, vedendosi costretti a prendere un VPN.

Ecco, scopo dell’indagine settoriale sul commercio elettronico era raccogliere informazioni sul mercato per consentire alla Commissione di capire meglio se e in qual misura gli eventuali ostacoli eretti dalle imprese incidono sui mercati europei del commercio elettronico. Il fenomeno dei geoblocchi è uno degli aspetti oggetto dell’indagine settoriale e il giudizio è incontrovertibile: incidono eccome.

Margrethe Vestager, commissaria europea alla Concorrenza, così commenta:

Non solo la pratica dei geoblocchi impedisce spesso ai consumatori europei di acquistare prodotti o contenuti digitali online in altri paesi dell’UE, ma esistono casi in cui tale pratica è il risultato di restrizioni previste dagli accordi tra fornitori e distributori. Il fatto che un’impresa che non occupa una posizione dominante decida unilateralmente di non vendere all’estero esula dal campo di applicazione del diritto della concorrenza. Tuttavia, se la pratica del geoblocco viene adottata in virtù degli accordi, dobbiamo verificare se non siano all’opera comportamenti anticoncorrenziali, cui si può porre rimedio utilizzando gli strumenti di cui l’Unione europea dispone in materia di concorrenza.

I numeri

Il sondaggio proviene da più di 1.400 aziende di tutti i 28 Stati membri e ha permesso di constatare che il 38% dei dettaglianti vendono online beni di consumo, quali abbigliamento, calzature, articoli sportivi e apparecchi elettronici di consumo, utilizzando i geoblocchi. Il 59% dei fornitori di contenuti digitali che ha risposto ha precisato che sono i fornitori a monte che impongono per contratto l’uso dei geoblocchi. Per quanto riguarda la loro diffusione, esistono notevoli differenze che dipendono dalle categorie dei contenuti digitali e dagli Stati membri.

peggiori trasgressori possono essere trovati nella fiction TV, film e settori dello sport, con quasi tre quarti dei fornitori della ex impegnati in blocco contrattuale

La ricerca della Commissione mostra come tra i peggiori trasgressori sono prevalenti quelli delle fiction TV, film e settori dello sport, con quasi tre quarti dei fornitori impegnati in blocchi contrattuali.

Il problema è che il geo-blocking spesso impedisce ai consumatori europei di acquistare beni e contenuti digitali online da un altro paese dell’unione, ma di per sé il margine operativo della politica antitrust è quando questi sono il risultato di restrizioni negli accordi tra fornitori e distributori. Altrimenti c’è poco da fare. Resta però l’obiettivo comune delle norme di concorrenza di creare una zona in cui i cittadini e le imprese europee possono accedere ed esercitare attività online a prescindere dal loro luogo di residenza.

Due scuole di pensiero

La questione dietro il geo-blocking è, come sempre, di rapporto tra multinazionali e Commissione Europea. Una società non dominante, di livello nazionale, che decide unilateralmente di non vendere all’estero non è certo un problema per il diritto della concorrenza. La massa critica di questo mercato molto bloccato è dovuta alle due scuole di pensiero che si stanno confrontando: da un lato, le aziende sostengono che lo stallo va superato lavorando sulle licenze, cioè negli accordi vanno estese le licenze in tutti i paesi; la politica (il commissario Ansip in prima linea), invece ritiene che il geoblocco sia uno strumento di natura tecnica che va cancellato dal continente. Le merci non dovrebbero circolare liberamente? Com’è possibile che abbiamo più confini nel digitale che nella realtà?

I metodi che utilizzano per implementare geo-blocco dei beni di consumo

I metodi di geoblocco dei beni: blocco di accesso al sito, il reindirizzamento, il rifiuto del pagamento del trasporto.

Le prossime tappe

Un’analisi più dettagliata di tutte le conclusioni dell’indagine settoriale in corso sarà presentata in una relazione preliminare prevista per la metà del 2016. Tale analisi sarà soggetta a consultazione pubblica e non riguarderà soltanto i geoblocchi bensì tutti gli eventuali problemi di concorrenza presenti sui mercati europei del commercio elettronico. La relazione finale è prevista per il primo trimestre del 2017.

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