Punto Informatico condannato per diffamazione

Il quotidiano di casa De Andreis dovrà versare quasi 52 mila euro di risarcimento a Buongiorno.it per una vicenda legata allo scandalo spam della Lista Bonino. Una sentenza che fa vacillare il diritto di cronaca in Rete.
Il quotidiano di casa De Andreis dovrà versare quasi 52 mila euro di risarcimento a Buongiorno.it per una vicenda legata allo scandalo spam della Lista Bonino. Una sentenza che fa vacillare il diritto di cronaca in Rete.

Si è conclusa con una pesante condanna per Punto Informatico la vicenda processuale che vedeva contrapposto il quotidiano della De Andreis editore al sito Buongiorno.it. Il Tribunale di Roma ha condannato Andrea e Roberto De Andreis in solido a versare nelle casse di Buongiorno la bellezza di 51 mila e rotti euro, pari a 100 milioni di vecchie lire. Una sentenza severa che pone fine ad una disputa durata oltre un anno ma solleva interrogativi sulla libertà di informazione in generale, ed in particolare online.

La De Andreis Editore era stata chiamata a rispondere dei reati di diffamazione e concorrenza sleale dalla Buongiorno.it SpA il 18 dicembre del 2000 in seguito alla pubblicazione su PI di un articolo riguardante lo «scandalo spam» della Lista Bonino. Contattati da HTML.it, sia i rappresentanti di Punto Informatico sia quelli di Buongiorno.it hanno preferito non commentare la sentenza. Di «problema legislativo gravissimo» ha parlato invece Enrico Pulcini, consulente della Federazione Nazionale della Stampa (FNSI) nonché direttore di Infocity.it, il primo sito italiano ad essere riconosciuto come testata giornalistica. Pulcini arriva a lanciare l’idea di una tavola rotonda dei pionieri dell’informazione online nostrana per discutere il diritto di cronaca su Internet.

Tutto era iniziato con un articolo intitolato “Bonino, mai tanto spamming in Italia”, apparso su Punto Informatico il 12 ottobre del 2000. Nell’articolo si parlava della condotta, successivamente giudicata illegale dal Garante per la Privacy, tenuta dalla Lista Bonino nel corso della campagna elettorale per le Europee 2000: in quel periodo, decine di migliaia di navigatori avevano ricevuto una valanga di spam elettorale da parte dei Radicali italiani (i quali erano stati anche premiati dalle urne per questo comportamento, ottenendo con l’8% il miglior risultato della loro storia).

Punto Informatico aveva denunciato «il ricorso agli indirizzari di numerose mailing list, da quelli di Netfraternity a quelli di Buongiorno.it,» cosa che non era piaciuta ai rappresentanti di quest’ultima società. In particolare, essi non avevano gradito la terminologia utilizzata da Punto Informatico, secondo il quale gli indirizzi degli utenti di B! erano stati «prestati» alla Lista Bonino. «L’Associazione Politica Nazionale Lista Marco Pannella ha semplicemente acquistato spazi pubblicitari all’interno delle newsletters gestite da Buongiorno.it,» avevano tenuto a specificare i legali di Buongiorno, diffidando PI dal proseguire su quella linea.

Punto Informatico aveva fatto appello al diritto di cronaca e si era arrogato la libertà di continuare a parlare di Buongiorno.it come di «un’azienda che ha prestato i propri servizi ad uno spammer». Era seguita la citazione in tribunale da parte di Buongiorno.it con la richiesta di 300milioni di lire come risarcimento per diffamazione e concorrenza sleale.

Nella sentenza datata 28 febbraio, il giudice Alberto Bucci della Prima Sezione Penale del Tribunale di Roma ha assolto PI dall’accusa di concorrenza sleale; ma l’ha condannato pesantemente per diffamazione. Secondo il giudice Bucci, infatti, PI non può appellarsi al diritto di cronaca, in quanto non ha rispettato (con una verifica dei fatti definita «carente») il principio di verità della notizia. In sostanza, dice il giudice, la Lista Bonino ha tenuto un comportamento scorretto, ma il coinvolgimento di Buongiorno.it nello «scandalo spam» non è stato provato.

«Si tratta di un problema legislativo gravissimo,» dichiara Enrico Pulcini, che prescinde dal caso particolare per parlare del diritto di cronaca, soprattutto online: «Se passa l’idea che un grande gruppo economico può far condannare ad un risarcimento milionario una piccola testata, magari a conduzione familiare, nessuno farà più inchieste online».

«Tutti possiamo essere condannati,» spiega Pulcini: «ma mentre un giornalista del Corriere della Sera sa di avere alle spalle un gruppo che gli permette di affrontare una querela, cosa può fare un giornalista che lavora per un piccolo editore online?» Secondo Pulcini, sarebbe una buona idea se tutti i pionieri dell’informazione online italiana («Infocity, Punto Informatico, ma anche Interlex ed altri») chiamassero intorno ad un tavolo le varie parti in causa tentando di colmare un vuoto legislativo che non fornisce nessuna garanzia a chi fa informazione su Internet.

La sentenza di primo grado condanna la De Andreis editore ad un risarcimento di 51.645,68 euro per diffamazione, più altri 6.889,52 euro per le spese legali. Ricordiamo che, con l’approvazione dell’articolo 13 della legge sulla sicurezza 6 marzo 2001, è stata modificata la parte dell’articolo 593 codice di procedura penale che sanciva l’inappellabilità delle sentenze di condanna per diffamazione a mezzo stampa. Punto Informatico potrà quindi ricorrere in appello contro la sentenza.

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