Google, 4 responsabili chiamati a testimoniare

Google è chiamato alla sbarra per spiegare le proprie motivazioni relativamente al video sotto accusa fin dal 2006 per i contenuti relativi ai maltrattamenti di un compagno affetto da Sindrome di Down. Trattasi di un processo unico in Europa
Google è chiamato alla sbarra per spiegare le proprie motivazioni relativamente al video sotto accusa fin dal 2006 per i contenuti relativi ai maltrattamenti di un compagno affetto da Sindrome di Down. Trattasi di un processo unico in Europa

È il giorno di Google. Oggi, infatti, quattro responsabili del gruppo saranno chiamati alla sbarra per rispondere alle accuse formulate in Italia per il video trasmesso e bloccato nel 2006, quando lo scandalo scoppiò. Trattavasi di un piccolo filmato “user generated” apparso su Google Video e nel quale alcuni adolescenti si prendevano gioco di un compagno di scuola affetto da Sindrome di Down. Nonostante l’intervento sollecito di Google, il video giunse sui media nazionali e si creò un polverone che ancora oggi, dopo 3 anni, riverbera i propri deleteri effetti nelle aule della giustizia.

Dalla parte dell’accusa, in questi anni, soprattutto l’Associazione ViviDown la quale, al termine delle indagini preliminari, spiegava (pdf): «Vivi Down ha ricevuto numerose email che la accusano di voler uccidere la democrazia introducendo la censura all’interno di internet, alle quali si intende risponde di seguito. Vivi Down è conscia dell’importanza sociale di internet, di cui, tra l’altro, si avvale quotidianamente per la propria attività e ne apprezza il ruolo fondamentale di mezzo di comunicazione […] Vivi Down, pertanto, non ha alcun intento censorio nei confronti di Internet, ma agisce nel rispetto dei propri diritti legittimi di parte offesa e danneggiata da un reato, affinché la magistratura accerti definitivamente se la pubblicazione del video in questione abbia comportato la consumazione di
uno o più delitti ben precisamente previsti e disciplinati dal nostro ordinamento penalistico».

Il 18 febbraio scorso una prima svolta nel percorso giudiziario: la famiglia del ragazzo al centro dei maltrattamenti ha infatti stralciato la propria posizione esprimendo parole di apprezzamento nei confronti di Google, a cui sono stati riconosciuti atteggiamenti di buona fede e disponibilità: «La decisione di rimettere la querela nel procedimento di cui sopra deriva dall’aver constatato che i responsabili di Google, oltre ad aver espresso solidarietà per quanto accaduto, si sono fattivamente impegnati dimostrando attenzione e sensibilità verso le problematiche delle persone diversamente abili e del grave fenomeno del bullismo».

Il caso è proseguito ma, venendo meno la posizione maggiormente esposta dell’accusa, si è parzialmente sgretolato l’impianto che ha messo all’indice il motore di ricerca nelle persone di David Drummond, Peter Fleischer, George Reyes e Arvind Desikan.

Update
L’udienza è stata rinviata al prossimo 29 Settembre

Nei giorni scorsi un caso simile si è ripetuto relativamente ad un video caricato su YouTube: nel caso specifico dalla parte dell’accusa v’era Vittorio Sgarbi, il quale avrebbe tirato in causa Google per un video relativo ad una conferenza pubblica di Marco Travaglio. Si spiega sul blog di Google Italia: «Il legale di Vittorio Sgarbi ha ritirato spontaneamente le accuse perché si è reso conto che non ci sono responsabilità attribuibili a YouTube, in quanto è solo la piattaforma che ha ospitato il contenuto. Come si usa in questi casi, visto il sereno scambio di opinioni tra le parti, Google ha in effetti evitato di chiedere a Vittorio Sgarbi il pagamento delle spese legali». Ma la precisazione successiva è oltremodo esplicativa di quel che Google intende portare avanti nella difesa dei propri dirigenti: «La cosa veramente importante è rappresentata dal fatto che questa decisione è una ulteriore conferma del principio secondo cui la piattaforma che ospita un contenuto creato da un utente non è responsabile del contenuto stesso». Per quel che vale, trattasi di un precedente. Ed è un precedente che avviene a pochi giorni dalla chiamata in causa di Google nella più nota vicenda del video del 2006.

La decisione è nelle mani del giudice Francesco Cajani, ma trattasi di qualcosa che va ben oltre il caso specifico. Il processo, infatti, rappresenta un unicum nel panorama giudiziario europeo e sul bilancino vi sono elementi delicati quali la tutela dei diritti e la possibilità per Google (ed aziende omologhe) di fungere da tramite privo di responsabilità per i contenuti immessi dagli utenti. I rappresentanti di Google oggetto della denuncia rischiano fino a 36 mesi di sanzione penale.

L’impianto sul quale si è sviluppata la rete ed i servizi correlati, probabilmente, rischiano però ancora di più. Per questo motivo la decisione di Cajani potrebbe essere basata su di una ponderazione che va ben oltre la suscettibilità che i tre minuti del video sotto accusa possono solleticare: in ballo v’è qualcosa di determinante e la stessa definizione delle responsabilità in capo agli autori del filmato (invece che ai responsabili della repository) potrebbe essere un importante passo avanti. Il mondo intero sta guardando a Cajani: l’Italia, spesso poco avvezza alle regole inerenti i nuovi media, ha una possibilità importante per dimostrare la propria sensibilità sul tema.

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