Meta smentisce la chiusura in Europa

Secondo Meta, la notizia sarebbe nata da una errata interpretazione del documento inviato alla SEC e del suo contenuto.
Secondo Meta, la notizia sarebbe nata da una errata interpretazione del documento inviato alla SEC e del suo contenuto.

La questione è legata allo scontro che va avanti ormai da molto tempo sul General Data Protection Regulation, il regolamento dell’Unione Europea che riguarda il trattamento e la libera circolazione dei dati personali. Un regolamento che nasce per avere una certezza giuridica e maggiore semplicità delle norme che riguardano il trasferimento dei dati dall’Unione Europea verso il resto del mondo. Con questo regolamento, Facebook (come altre multinazionali) non può trasferire i dati dei clienti europei all’interno di quelle aree “che non offrono lo stesso livello di protezione che esiste in Europa”, tra le quali rientrano gli Stati Uniti. I dubbi dell’UE riguardano la sorveglianza sui dati da parte del governo americano.

Meta fa dietro-front?

Già ieri, in serata (negli USA), la questione sembrava rientrata, con un portavoce che faceva sapere come Menlo Park non avesse in realtà “alcun desiderio e alcun piano di ritiro dall’Europa” ma che, semplicemente, come molte altre società, organizzazioni e servizi basate sul trasferimento di dati tra l’UE e gli Stati Uniti, evidenziare come senza certi permessi non può operare, e quindi senza nuove regole chiare e globali a tutela anche delle aziende, ci sarebbe il rischio di dover ricorrere a scelte drastiche per salvaguardare il proprio business. Ma stamattina un altro portavoce ha voluto ribadire il concetto.

Insomma, secondo Menlo Park, tutto sarebbe nato da un’interpretazione errata e superficiale del documento inviato alla Securities and Exchange Commission (Commissione per i Titoli e gli Scambi), l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori.

Meta infatti, come ogni altra azienda americana del genere, è obbligata per legge a segnalare ogni possibile preoccupazione relativo ai suo piani di business. Quindi non si tratterebbe di un dietro-front da parte della società di Mark Zuckerberg, anche se la sensazione di molti analisti è che quest’ultima ci abbia marciato un po’ su per alzare il polverone e fare un po’ di rumore sperando così di ottenere maggiore attenzione sulla vicenda, specie dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha invalidato il Privacy Shield, ovverosia il vecchio accordo fra Bruxelles e Washington per il trasferimento dei dati fra Stati Uniti ed Europa.

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