Ombre nel passato di Mark Zuckerberg

Che Zuckerberg avesse qualche scheletro nell'armadio era cosa già nota. Tutti fatti risalenti ai primi passi di Facebook, ai primi screzi con ConnectU, alle lotte per la proprietà dell'idea. Ora, si viene a sapere, anche storie di caselle di posta violate
Che Zuckerberg avesse qualche scheletro nell'armadio era cosa già nota. Tutti fatti risalenti ai primi passi di Facebook, ai primi screzi con ConnectU, alle lotte per la proprietà dell'idea. Ora, si viene a sapere, anche storie di caselle di posta violate

La storia di Mark Zuckerberg non è sempre stata tutta rose e fiori. Il mondo ha conosciuto la profumata cavalcata trionfale che lo ha portato in pochi mesi dall’essere un semplice studente al diventare un imprenditore miliardario, ma pochi hanno conosciuto invece le spine che hanno caratterizzato gli esordi del suo social network. Qualcuno ricorda probabilmente gli screzi con ConnectU e le accuse secondo cui Zuckerberg avrebbe semplicemente fatto proprie idee altrui, ma ora nuovi strani retroscena vengono a galla gettando nuove ombre sul giovane CEO.

Quel che trapela è tutto in una storia pubblicata da Business Insider. Ed è una storia tutta interna ad uno stretto giro di conoscenze che ha portato ad un solo vincitore: TheFacebook, un progetto in seguito diventato il primo social network al mondo. L’accusa contro Zuckerberg è quella di aver utilizzato dati a disposizione del social network per perseguire interessi privati, interessi in seguito maturati in miliardi e miliardi di dollari (denaro che, probabilmente, gli sconfitti di allora ancora recriminano). Il tutto, è evidente, con chiara violazione della privacy.

Zuckerberg avrebbe utilizzato non soltanto i dati di login di alcuni studenti di Harvard (ove il progetto originario HarvardConnection aveva preso inizialmente forma), ma addirittura avrebbe tenuto traccia delle password digitate per errore. Il principio è chiaro: le password digitate per errore possono essere o frutto di errori in digitazione, oppure conseguenza di una confusione di password tra servizi diversi. Questi errori sono pertanto stati utilizzati per una serie di tentativi di accesso alle caselle di posta degli utenti nel mirino. In alcuni casi il tentativo sarebbe andato a buon fine, permettendo a Zuckerberg di consultare i contenuti o in alcuni casi affondare del tutto la casella di posta.

Ma in questo giallo c’è qualcosa di ulteriore. “Crimson”, giornale universitario che ha seguito da vicino le prime fasi della vicenda convocando in più occasioni in redazione il giovane Zuckerberg, sarebbe stato vittima dell’hacking del ragazzo interessato a capire chi e come avrebbe scritto a proposito del nascente TheFacebook.

Cameron Winklevoss, Tyler Winklevoss e Divya Narendra avrebbero denunciato fin da subito il furto di proprietà intellettuale che Zuckerberg avrebbe effettuato ai danni di HarvardConnection. Secondo quanto trapelato in passato le vicissitudini tra le parti si sarebbero chiuse con un accordo da 65 milioni di dollari, cifra che pone a tacere tutte le accuse ed i veleni relativi all’esordio del social network.

Quel che trapela in queste ore, quindi, non dovrebbe avere alcuna ricaduta sul sito né sul suo CEO. La storia getta però nuova luce sui primi passi di un progetto rivelatosi in seguito ispirato e vincente. E trattasi di un percorso fondamentale ai fini dell’interpretazione del modo in cui, in seguito, tanto Zuckerberg quanto il suo team hanno trattato ogni questione relativa alla tutela della privacy dell’utenza partecipante alle attività della community.

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