Google alle Bermuda per pagare meno tasse

Google avrebbe spostato 10 miliardi di dollari di fatturato nel paradiso fiscale delle Bermuda, così da pagare meno tasse in Europa.
Google avrebbe spostato 10 miliardi di dollari di fatturato nel paradiso fiscale delle Bermuda, così da pagare meno tasse in Europa.

Anche Google, come Apple, si affida ai paradisi fiscali per pagare meno tasse. È quanto messo in luce da Bloomberg, che parla nel dettaglio del metodo attuato dal colosso di Mountain View per eludere in modo legale le maglie del fisco europeo, evitando così di versare ogni anno miliardi di dollari nelle casse dei paesi in cui opera. Una questione di cui si è già parlato nelle scorse settimane, in occasione di una visita della Guardia di Finanza negli uffici di Google Italia.

Nel 2011, ad esempio, bigG avrebbe inviato ben 9,8 miliardi di dollari alle Bermuda, risparmiando così quasi due miliardi di imposte. Questo è stato reso possibile dall’applicazione di pratiche già viste per altri protagonisti dell’ambito high tech: la prima è definita in gergo “double irish” e richiede il controllo di due società con sede in Irlanda, stato che offre una bassa pressione fiscale proprio per attirare l’arrivo di capitali esteri, mentre la seconda si chiama “dutch sandwich” e consiste nel far transitare il denaro in Olanda per poi destinarlo a mete ben più lontane dal vecchio continente, come le isole Bermuda appunto.

Nulla di non consentito dal punto di vista prettamente legale, ma di certo una strategia ideata per sfruttare un vuoto legislativo che diversi paesi hanno già manifestato l’intenzione di voler colmare al più presto. Alla luce di quanto svelato, Google si difende mettendo sul piatto altre cifre, ovvero quelle relative all’occupazione generata in un momento di crisi su scala globale: 700 dipendenti in Germania, altri 2.000 nel Regno Unito. Prendendo in considerazione quest’ultimo territorio, bigG genera un fatturato pari a circa 4,1 miliardi di dollari, la maggior parte derivanti dall’advertising online, sui quali versa però solamente 9,6 milioni in tasse.

Se la pressione fiscale alla quale sono sottoposti i cittadini europei è in continuo aumento, non si può certo dire altrettanto per i colossi della tecnologia. Affrontare la questione spetta in primo luogo al legislatore, chiamato a trovare soluzioni capaci di evitare la fuga di denaro verso mete offshore e al tempo stesso di non allontanare gli investimenti.

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