Cloud, l'utenza non è consapevole

Una indagine condotta dalla Business Software Alliance ha certificato l'assenza di consapevolezza da parte dell'utenza relativamente alla natura del Cloud Computing ed alle ricadute che avrà su sicurezza e Privacy
Una indagine condotta dalla Business Software Alliance ha certificato l'assenza di consapevolezza da parte dell'utenza relativamente alla natura del Cloud Computing ed alle ricadute che avrà su sicurezza e Privacy

«C’è una diffusa confusione tra i cittadini europei in merito a dove i dati personali in digitale vengano archiviati online, secondo lo studio promosso da Business Software Alliance (BSA) e pubblicato oggi. Quasi il 20% dei cittadini europei ha ammesso di non essere a conoscenza se i propri dati personali si trovino “nel cloud”, con un 60% che risponde di non sapere nemmeno che cosa ciò significhi». Poco rassicuranti, insomma, le conclusioni a cui giunge un sondaggio presentato in occasione del terzo Cyber Security Awareness Day di BSA a Bruxelles.

Il sondaggio è stato condotto da YouGov per mettere in rilievo non soltanto la scarsa sicurezza odierna dei sistemi informatici («e stime dell’UE affermano che i cyber-criminali controllano oltre sei milioni di computer al fine di sottrarre dati individuali e poi inviare spam»), ma anche per certificare l’assenza della necessaria cultura tra gli utenti. Semplicemente, chi naviga non conosce. E chi non conosce è a rischio. Ma questa situazione ha cause specifiche ed «il pubblico ha espresso una preferenza per la gestione internazionale della sicurezza informatica rispetto ad un approccio nazionale».

Spiega il report: «Dal momento che le organizzazioni, le imprese, gli individui e i governi scelgono sempre più di archiviare dati online – fenomeno appunto noto come “cloud computing” – la sicurezza informatica e la minaccia della criminalità informatica vanno acquisendo un ruolo vieppiù prioritario». L’idea emergente è quella per cui pubblico e privato debbano pertanto collaborare in modo sempre più organico per giungere a standard e regole condivise ed applicabili. Per certi versi il tutto è applicabile anche al caso Vividown vs Google, ove proprio la carenza di norme internazionali e la difficoltà nell’applicazione di standard normativi condivisi ha portato ad una sentenza molto discussa: privacy e sicurezza, in questo caso, vengono applicate al mondo editoriale, ma si tratta soltanto di un caso specifico in un contesto problematico che si affaccia in generale pressoché in ogni campo.

«Più di due terzi di tutti gli intervistati ritiene che la responsabilità per la sicurezza dei dati detenuti “in the cloud” non riguardi le aziende che effettivamente utilizzano i dati. […] Più di un quarto degli intervistati, e tre su cinque Paesi europei, hanno espresso la convinzione che della sicurezza dei dati online dovrebbe essere responsabile una combinazione di stakeholder, comprendente governi, imprese, aziende tecnologiche e consumatori». Questo è quel che l’utenza esprime, questa è la richiesta a cui aziende ed istituzioni dovranno rispondere se vogliono attingere a piene mani alle promesse di mercato del cloud computing. Nulla di nuovo sotto il sole, peraltro: Microsoft ribadisce il concetto da tempo, ritenendo fondamentale un piano solido per privacy e sicurezza affinchè l’utenza accolga con maggior accondiscendenza la rivoluzione in atto

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