Ecco lo startup act: aggiornamento all'ecosistema

Il rapporto annuale Startup del Ministero dello Sviluppo fa un rendiconto positivo delle policy adottate: la debolezza sta nei numeri e nei volumi.
Il rapporto annuale Startup del Ministero dello Sviluppo fa un rendiconto positivo delle policy adottate: la debolezza sta nei numeri e nei volumi.

La relazione annuale del Ministero per lo sviluppo economico sull’attuazione delle politiche sulle startup e pmi innovative è una buona occasione per riprendere il percorso normativo e dare un’occhiata ai numeri dell’ecosistema italiano. Lo stato attuale è noto da tempo e rispecchia in molte parti l’economia italiana: frammentazione, un po’ di nanismo industriale, difficoltà a fare massa critica sugli investimenti, assenza del risparmio, ma pure grande vitalità, creatività, punti di eccellenza, e uno sforzo vero dello Stato a venire incontro agli startupper dal punto di vista degli oneri.

Sono stati quattro anni, solo quattro anni (2012-2016), ma sembrano molti di più. Si può dire solo bene dell’approccio del MISE e del suo direttore generale per la politica industriale e l’innovazione, Stefano Firpo, che ieri ha presentato a EnLabs, l’acceleratore della LUISS, il report (pdf) dove si comunicano i risultati dello Startup Act, in sei capitoli:evoluzioni normative; elenco delle startup registrate con localizzazione geografica e settoriale, valore dimensionale in termini di occupati e fatturato, performance economiche e finanziarie; indagini statistiche sulla soddisfazione; le principali misure della strategia italiana per le startup, come l’accesso gratuito e diretto al Fondo di Garanzia per le Pmi, gli incentivi agli investimenti in equity, l’equity crowdfunding e il programma Italia Startup Visa; panoramica sulle principali iniziative di comunicazione pubblica e infine due esercizi di valutazione dell’impatto delle misure. Un bel lavoro, utile a fare il punto su uno dei pochi piani nazionali industriali italiani.

Come stiamo

In sintesi, il rapporto 2016 del MISE è come fosse il resoconto di qualcuno che ci spiegasse di aver fatto tutto il possibile, come un amico consapevole di non aver sbagliato una parola al primo appuntamento ma, chissà perché, la ragazza invitata non s’è fatta più sentire. Le agevolazioni messe in campo in questi anni sono eccezionali, non sempre per volume ma certamente per efficacia burocratica e boost: l’esonero dai costi camerali, una disciplina ad hoc sulle assunzioni, compensazione Iva, stock option e work for equity (novità assoluta per il Belpaese), crediti d’imposta, crowdfunding, fondo di garanzia, carta dei servizi per l’internazionalizzazione, la startup visa. Il decreto Crescita 2.0 è stato implementato 4 volte in 4 anni: con il decreto Lavoro, il decreto Investment Compact, la legge di bilancio 2016/2017 e infine, a latere, il progetto Industry 4.0.

Il problema non è la rendicontazione, ma la crescita economica. Non c’è dubbio che le nuove iniziative su bilanci, equity, piani di risparmio individuale, possano portare potenzialmente a una crescita, ma restiamo un paese con venture capital fermo a 200 milioni di euro. La somma della forza lavoro delle startup è di 35000 persone, 3-4 persone per azienda, gran parte delle quali semi nascosta. Il go-to-market, per stessa ammissione di Firpo, è lento, troppo lento. Perché? E come si può incrementare? E perché le grandi imprese e la pubblica amministrazione non aiutano, non stimolano la domanda? Ad alcune di queste domande Firpo ha risposto oggi in una interessante intervista. Inoltre, la rete di incubatori è il persistente imbarazzo dell’ecosistema: ce ne sono troppi, fanno troppo poco, e persino nei casi migliori la contrattualistica somiglia troppo a quella di un’azienda fornitrice di servizi. C’è pochissimo rischio, ma non è neppure colpa dei soli incubatori: è che l’Italia è culturalmente un paese propenso al risparmio, con aziende piccole in sofferenza, dove è inattuabile un modello espansivo che utilizzi i fondi pensionistici per far crescere le startup. Ci sarebbe una rivoluzione.

Dunque grande lavoro sulle policy, ma ancora risultati minimi, più per debolezze infrastrutturali e culturali che per reali mancanze di politica e startupper, che hanno fatto e continuano a fare il massimo. L’ecosistema riparte da qui.

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